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Il reality show e la “Sindrome di Big Jim”

Recita il noto adagio: “Prima il dovere e poi il piacere”.
Lungi da me il contraddire la saggezza popolare, mi atterrò con scrupolo a questa prescrizione.
Quello che quindi mi sento in dovere di fare in apertura di articolo è un sincero e sereno outing. Mi cospargo il capo di cenere e confesso la mia debolezza: nonostante tutto sono uno spettatore dei reality show.
Certo, non uno di quelli accaniti. Non registro le puntate serali quando non sono a casa e non ho mai pensato neanche lontanamente di abbonarmi a una pay tv per poter seguire ogni istante del programma. Però quando ho tempo un’occhiata alle strisce giornaliere me la concedo.
E non è finita: consulto regolarmente il televideo, perché ho scoperto che molti reality hanno una pagina costantemente aggiornata con le ultime novità.
Non ci posso fare nulla. Secondo me i reality show sono come quei best seller scritti male ma molto efficaci, quelli che a un certo punto ti prendono e ti trascinano all’ultima pagina, volente o nolente.

Bene, chiarito questo punto ( e vi prego di apprezzare la mia onestà, merce rara in un periodo in cui tutti dicono che la tv è inguardabile ma poi sanno vita morte e miracoli di Bruno e Ascanio) posso passare alla parte piacevole, quella in cui vi intrattengo con l’analisi, buffa ma non troppo, di un processo iniziato un anno fa con l’Isola dei Famosi, sviluppatosi poi attraverso La talpa, e giunto al suo apice in queste settimane con La fattoria di Italia Uno.
Questo processo è la “Big-jimmizzazione del Vip da reality show”. Big Jim

Big Jim, come tutti ricordano, è stato un giocattolo molto popolare almeno fino ai primi anni Novanta (poi sono arrivate le Tartarughe Ninja, le consolle, i Pokemòn e anche lui si è dovuto fare da parte).
Trattasi di un ometto di plastica, muscoloso e dall’aria vagamente riottosa, il cui compito principale consiste nello sventare i piani dei cattivi inseguendoli anche in capo al mondo e picchiandoli col suo leggendario pugno, che entra in azione ogniqualvolta venga pigiato il bottone che ha sulla schiena. L’unica cosa che ha sempre mandato in crisi Big Jim è la concorrenza sleale che gli fa Ken, il bambolotto figo che gli somiglia ma che non ha mai alzato un dito nella vita, che guida macchine di lusso e si trastulla con la Barbie.
Ecco, secondo me il modello di Vip che i reality di ultima generazione propongono presenta non pochi punti in comune con Big Jim. Vi spiego anche perché.
Innanzitutto i Vip scelti per queste trasmissioni sono persone che i casi della vita hanno portato ad essere un po’ emarginati dallo show business: c’è chi ha sofferto un calo di popolarità, chi ha visto da vicino il proverbiale dimenticatoio, oppure chi è sempre vissuto all’ombra di un parente più famoso e non ha mai avuto modo di emergere.
Questa loro condizione peculiare rispetto agli altri Vip, assimilabile in un certo senso al rapporto che intercorre tra il nostro eroe e il già citato Ken, li rende dei perfetti potenziali Big Jim.
La produzione li mette poi in una situazione che è tipica del Grande Jim: essi vengono collocati all’interno di situazioni fortemente caratterizzate, alle quali si devono adattare in modo totale (capite? Come c’erano il Big Jim alpinista, quello subacqueo e quello pugile, ora ci sono il Vip naufrago, quello fattore, e quello talpa).
A questo punto quello che ci si aspetta è anche una reazione rissosa simile a quella del Big Jim: insomma, il pubblico richiede a gran voce il leggendario pugno. Magari non materiale, ma quantomeno metaforico.
Non essendo però i suddetti Vip dotati di un pulsante sulla schiena, tale reazione viene provocata attraverso un sempliceKen e Barbie stratagemma: si tiene il soggetto costantemente sotto l’occhio delle telecamere, lo si fa convivere forzosamente con altre persone dalle quali non si può allontanare neanche un secondo e lo si convince che la situazione è estrema e drammatica.
Regolarmente una pressione di questo tipo porta allo scontro verbale, in casi appena un po’ più rari allo scontro fisico.

C’è però una debolezza insita in questo processo, che mi porta, a conti fatti, a preferire il Big Jim originale al suo epigono televisivo. La gamma di azioni che si possono far compiere al Grande Jim è più ampia di quelle che si possono richiedere al Vip.
Quando da piccino giocavo col mio bambolotto da battaglia, ogni pomeriggio potevo inventarmi una storia diversa, e mettere in scena una nuova trama assolutamente originale.
Il reality show non riesce a far questo. Inevitabilmente l’intreccio è sempre uguale a se stesso, così come gli elementi che lo compongono. Ci sono sempre, anche se può cambiare il loro nome, la nomination, il luogo rituale dove i protagonisti interagiscono col conduttore, la prova di forza settimanale, lo scontro diretto per ottenere dei privilegi.
Purtroppo il gioco è sempre quello. E alla lunga può diventare noioso.

Certo, il rovescio della medaglia esiste, e nella fattispecie è dato dalla fame di serialità e ripetizione che è propria dello spettatore televisivo. E’ fatto noto che consumatore di tv si affeziona a un modello e prova piacere nel vederlo replicato serialmente con delle minime variazioni.
Per farvi un esempio concreto: ora chiudo questo articolo e vado a dare un occhio al televideo. Chissà che cosa stanno facendo Milton e Danny Quinn…

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