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cultura dell'immagine e della parola

Errore

Esito una prima volta per alzare lo sguardo dal bancone. Subito dopo ci riprovo e lo vedo. È chino sul suo bicchiere e tenta di accennare uno strano motivo a muso duro. Mi sembra di ricordare quella musica; ad un tratto però la memoria è frenata dalla sua voce.
«Sai una cosa? Quanto più la gente tenta di evitarmi, tanto più mi presento al loro cospetto.»
Taccio.
«Non lo faccio volontariamente, mi viene spontaneo. Sarà perché molti partono dal presupposto di dovermi evitare ad ogni costo; non riescono ad apprezzarmi per quello che ho da dire su di loro, per quello che ho da insegnargli. Non capiscono che probabilmente se agissero soltanto con un po’ di fiuto e meno costruzioni mentali tutto scorrerebbe meglio. Sbaglierebbero, ma come ha detto il mio amico Karl solo utilizzando un po’ di giudizio critico e rendendosi predisposti ad imparare dagli sbagli si è in grado di fare progressi. Pensi che la strada del progresso sia un percorso rettilineo?»
Butta giù due sorsi e io accenno uno sguardo smarrito in cerca d’aiuto.

«La strada è un continuo cadere farcita con abbondante voglia di rialzarsi. Quando ti sei rialzato nessuno ti ferma più. Sei caduto, ti sei fatto male sulla tua pelle; ma la tua stessa pellaccia ora cammina trionfante e riluce del fango di quel tonfo. Eppure tutti continuano a maledirmi e ad imprecare contro di me. Come se tutto ciò che accade fosse opera esclusiva di una mano furtiva. Che colpa ne ho io? Sono loro che agiscono male. Siete voi che sbagliate. Credi che sia facile dover portare il peso di tutte le vostre scelte infelici? Pesano e giunti ad oggi sono tante! Ieri mattina ho sfogliato il mio album di foto. Ne ho in bianco e nero con strette di mano immortali e volti saldamente falsi. Ne ho a colori con sorrisi traditi e labbra spente. Ne ho ancora da sviluppare e queste ultime hanno davvero poca luce.»
Si rianima di scatto, pugno secco vicino al bicchiere e sguardo acceso. Solo ora noto il suo volto scavato, i sui capelli brizzolati e folti. Ormai ubriaco riprende a mugolare quel motivetto e la mia memoria fa passi avanti.

Innervosito ricomincia a parlare in piedi; alza la voce e gesticola con le mani contro di me:
«Siete liberi di agire voi. Io invece esisto con voi e basta. Dipendo da voi. Sono matita rossa o blu sul compito di scuola, sono numeri in rosso sul conto delle banche.»
Si risiede silenzioso, tira giù altri sorsi finché in preda ad una visione riprende:
«Ecco ci risiamo Matteo l’anno prossimo rifarà ancora Storia: che idiota, non ce la farà mai! … E proprio in questo momento qualcuno sta salutando … sta salutando la sua ragazza davanti ad un portone. Attenta. Ti farà soffrire. Non dire cretinate, stupido! Così la perdi; non ne troverai altre, è LEI. Non lo fare… Imbecille! Quanto ci metterà quest’altro a prendersela con me? Io… io… ho tentato!»
La luce sul bancone filtra attraverso il fumo denso del locale e si ferma sul suo volto, incastonando una lacrima lenta.

«Sono stanco. Basta! Domani tanto si ricomincia. Altro giro, altra corsa e in tanto la giostra gira. Anche per oggi mi arrendo e alzo bandiera bianca. Vi osservo da tanto e ancora non vi capisco, mi sembra che ci godiate a chiamarmi in causa nelle vostre vite… »
Lancia al barista delle banconote fermate da un luccicante fermasoldi. Volta le spalle, si mette un cappello a falda stretta e claudicando si avvia ricominciando a cantare:

“…un vecchio errore pagato caro,
un gesto avaro,
avevo il cuore duro
allora ero più amaro,
ero più giovane.
Niente di niente,
spiegalo alla gente
cosa vuol dire;
cosa vuol dire amare l’amore
senza mai fare neanche un errore…”

Afferro il fermasoldi lasciato dal barista. Non so per quale motivo, quel bizzarro personaggio ha attratto l’attenzione. Un’aria vissuta, il suo atteggiamento, tutto gli si addiceva a pennello come cornice portante della vita di un uomo che trasmette, quando parla, la sensazione di essere a contatto con un veggente realista. La curiosità poi in questi casi è difficile da controllare e quel simbolo è tutto ciò che mi rimane della serata. Stupito noto qualcosa di strano inciso sopra. Mi sposto sotto la luce e leggo… è un nome: Monsieur Erreur.

“Il punto fondamentale è riconoscere gli errori e correggerli al più presto possibile, prima che facciano troppo danno. Di conseguenza, l’unico peccato imperdonabile è nascondere un errore”.

Karl Popper

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