Città
La morte in diretta: Blade runner: Dark city: Apocalypse now: Madonna: Radiohead: Tom McRae: il Mucchio: Rumore: Ulisse: Delitto e castigo: l’occhio: Bulgakov: Polanski: la terra: il fuoco.
Nel 1958 Polanski gira “Due uomini e un armadio”. Dimenticando il non-sense Beckett-Ioneschiano, due uomini passeggiano in una città in bianco e nero, deserta. L’unica doppia prospettiva è uno specchio e qualche uomo che si aggira intorno, cammina, li guarda, una donna che ha paura, alcuni teppisti che li picchieranno rompendo quello specchio ed interrompendo l’unica nostra relazione con i palazzi intorno.
Mi domando allora: una città può esistere anche se vuota? Penso di sì.
Tavernier mi risponde nel “La morte in diretta”: la città è svuotata, eppure è così inesistente da risultare dentro di me. Anche in “cecità” di Saramago, il bianco degli occhi non è più solo vuoto ma è paura del non esitere, come un foglio da sporcare con la scrittura, come il “non so come incominciare”.
Eppure, ancora vedo in quel bianco il vuoto di un semaforo che non esiste più nel suo uso, ma è solo una lampada che lampeggia.
Vado a Berlino, i Marlene Kuntz stanno registrando il nuovo disco. Mi dicono: ”e mi risultò fin da subito una sensazione che poco per volta, si tramutò in certezza: per le strade, nei locali pubblici, nella metropolitana, ovunque, non c’era tensione di nessun tipo e la gente sapeva farsi i fatti suoi in tutti i modi possibili, senza la timidezza mal esibita di chi invero gradirebbe farsi quella degli altri”.
Io sono la città, tutti noi lo siamo. È lo scheletro evidente di noi, e come i denti che lucidiamo davanti allo specchio, ci guardiamo dentro le vetrine alla ricerca di un occhio che non sia troppo ossessivo.
Quindi, il futuro sarà veramente con il cinema lo prospetta?
sarà la città di Blade Runner o di Dark City la prospettiva della città psicologica che noi immaginiamo? O è una immagine solamente imposta?
Come immaginereste una città fra cento anni? Caotica solo perché è evidente l’aumento demografico?
Secondo me no.
Una città a più strati (Il quinto elemento) è forse l’immagine della nostra impotenza di crearci un’immagine semplice e normale di noi stessi. Io chiaramente mi vedo così diverso tra cento anni, mi vedo talmente pieno di nozioni, pieno di pesi e misure e nozioni che non posso non immaginare una città come quella di Besson.
Ma l’evoluzione è dentro di noi.
La maturità è dentro di noi, e il cordone ombelicale si allontana sempre di più. Ma immagino che, prima o poi, si riattaccherà sotto il cervelletto e mi porterà lontano nel passato.
Metropolis sarà il lontano ricordo di un sogno.
A cura di
ponti ::