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Parole di polvere

Parole di polvere

Quando tutto intorno sembra essere indefinito, sfuocato, labile, senza un limite preciso, una nitida direzione non si rivolge la parola alla solidità delle cose che ci circondano, piuttosto alla loro sfuggevolezza, inconsistenza… così può anche capitare di trovarsi a dialogare non più con il tuo compagno, il tuo amico o un qualunque essere pensante, bensì con una manciata di terra desertica sommossa e resa “vitale” dal vento che soffia da west ad est… proprio così!
Non è invenzione… Arturo Bandini (versus John Fante) l’ha fatto davvero, è alla polvere del suo paese-non paese ( Usa – Messico ) che si è aggrappato il suo estremo ma non ultimo slancio comunicativo, per scoprire, verificare se realmente la natura è rimasta la sola ad ascoltare la nostra voce, i nostri pensieri, le nostre contraddizioni e paure.
Arturo dialoga con me che leggo, con lui stesso che scrive, con il suo alterego Fante, ma soprattutto con la polvere, quella che trascina, confonde e mescola due paesi tanto vicini quanto abissalmente separati da un deserto di pregiudizi sociali, economici, culturali.
E’ sul confine sbiadito tra questi due mondi che l’italoamericano Arturo (suggestione autobiografica); inizia a rivolgersi a quella polvere senza identità, ad avvicinarsi a me e dirmi: “E’ successo per davvero. La ragazza se ne è andata, io la amavo e lei mi odiava, e questa è la mia storia”.
Fino a qui, io che leggo, intuisco solo il dolore lacerante di un amore non corrisposto. Ma Arturo sussurra ancora e chiede alla polvere di essere testimone per lui, per me, per l’umanità di quello che è accaduto e forse sempre accadrà, e al suo alterego John Fante di raccontare, a sprazzi, perché è difficile dire tutto da solo, e così… ” Era un filosofo, e giovane, e la sua era la semplice storia di uno scrittore che si innamorava della cameriera di un bar e veniva invitato a togliersi dai piedi…”.
Certo, Camilla era di straordinaria bellezza, e lui, Arturo era innamorato tragicamente di lei ma … lei amava Sammy e lui la odiava, disprezzava. Sammy era un barista americano. Lei, Camilla, una cameriera messicana, quindi un gradino più in basso.
La polvere del deserto ha fatto sì che un giorno Arturo e Camilla si incontrassero, ma non era bastato a fonderli in un biunivoco amore. E non era neppure bastato che Arturo fosse dalla sua parte, quella dei messicani, cioè al di là dei pregiudizi sociali e non come quel Sammy che abusava di lei, sicuro del suo amore, del possesso del suo corpo, che la picchiava, insultava, la chiamava “spick”, facendola sentire in colpa per il fatto di appartenere alla terra oltre il confine.
Arturo mi ha spiegato che questo è un libro su di una ragazza e un ragazzo che appartengono a culture diverse, ma mi ha anche detto: ” In quelle strade c’è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranze alle prese con una ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere. E c’è una ragazza ingannata dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro”.
Ora capisco perché quando Arturo le scriveva sonetti, lei li buttava via per strada, affidandoli alla polvere e la polvere stessa la conduceva poi attraverso il deserto, dove ad aspettarla c’era Sammy, che in realtà la respingeva, la gettava nuovamente in mezzo a quella polvere che tutto vedeva, toccava, sentiva, un’esasperante giostra di sentimenti che andavano via via svuotandosi, rincorrendo perennemente l’irraggiungibile fino a trovare il vuoto.
Poi un giorno Camilla scomparve nel deserto, lontana dal mondo, da se stessa, da Sammy che non la voleva più… il suo unico compagno era il cane Pacho (che le aveva regalato Arturo); che aveva lo sguardo affamato e triste come quello della sua padrona. Tutto questo me l’ha detto Arturo quasi sottovoce, soffocato dal dolore per la scomparsa del suo sfuggente amore dalla pelle diversa dalla sua, sconvolto per l’evanescenza di quell’esistenza fragile che lui voleva proteggere dal pregiudizio, dal mondo, pur sapendo che era lei stessa a rincorrerlo, a voler danzare a quel ritmo…
“Lei se n’è andata. Il deserto l’ha inghiottita”.
Ora sono io che da questo prologo di Fante mi sento smarrita, dentro e fuori da queste parole che mi hanno coinvolto fino ad avvolgermi a spirale nella lotta incessante di Arturo, che credeva non tanto nella sua passione (non concretizzabile); quanto nel suo desiderio di riscattare la vita dell’illusa ma indimenticabile Camilla… cosa posso fare ora? Arturo ora mi direbbe solamente: “Chiedi alla polvere”.

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