Quanto pesa
una stella
La matrice ad alta tensione unisce il film, L’eletto di Guillaume Nicloux, al libro, Il concilio di pietra di Jean-Christophe Grangè. Solo questo, forse. Ambienti e personaggi sono stravolti: ammaliati, quasi, da una Monica Bellucci che avrebbe dovuto lasciar cadere di più la sua veste di sex symbol.
Occhiali alla John Lennon, orecchino al naso, professione etologa, solitaria e in giro per il mondo a guastare le sue relazioni sociali. Si aggiungano un pessimo rapporto con la madre vamp mangiauomini e una violenza subita in gioventù che l’ha resa androgina, e il profilo di Diane, la protagonista del romanzo di Grangè, è completo. Quindi non solo il piglio vagamente secchione avrebbe soffocato i talenti di madame Bellucci nell’interpretare il personaggio originale. Probabilmente, con queste premesse, l’intero ruolo sarebbe stato un problema: le sue doti conclamate, per intenderci quelle di donna mediterranea, sarebbero andate mortalmente sprecate.
Così i due personaggi si sono scissi fin dall’inizio: cambiano i nomi, le professioni e la madre nel film non esiste. Dopo le prime risate dovute a tutto ciò, mi sarei aspettato almeno tanto così di paura. Invece niente. Una parvenza di emozione? Avrebbe dovuto essere terrore, ma almeno qualcosa sarebbe stato. Ma la divina non poteva essere accostata a cattivi, bruti e brutti; i suoi lineamenti, fonte di ispirazione per creature sfiorite e chirurghi plastici in cerca di fortuna, non avrebbero potuto essere smossi più di tanto. E quindi per noi comuni mortali nessuna emozione.
Resta, come figura centrale, Lu-Sian, il bimbo adottato dalla protagonista e la sua aureola stranita di quasi angioletto, che fa domande e cose strane. Si interroga sulla sua nascita, sulle strane morti che gli accadono intorno e su quell’amore fortissimo ma criptico da parte della nuova madre.
Il libro, rieditato per l’occasione ma risalente al 2001, si difende con un buon uno-due basato sul riuscito gruppo di personaggi e sull’ingegnosa verve delle loro psicologie. Il linguaggio è efficace e qua e là sono spruzzati periodi eleganti e vagamente poetici nelle similitudini, nelle associazioni tra luoghi e mente dei personaggi. La donna ombrosa protagonista e lo scavo esistenziale che su di lei opera Grangè sono ottimamente condotti e nel film purtroppo vanno ad appiattirsi sulle forme della Bellucci. Tutta la vicenda cinematografica vorrebbe essere realistica: si cerca il Bello, ma si arriva al massimo al belloccio. Per di più, sul momento thrilling, il film casca completamente: basti dire che il cattivo dei cattivi è [img4]sora Catherine Deneuve.
La parte migliore di entrambi i lavori è la breve ma ben fatta ambientazione asiatica. Siberia e Mongolia, per film e libro, alla ricerca delle origini del misterioso bambino adottato. Il film ne risulta decisamente aiutato, ottenendo una minima postilla che ne giustifica il genere. Per il libro, si ottiene invece il motivo del titolo: la cerimonia in cui un bambino prescelto veniva sacrificato per dare l’immortalità a uno dei capitribù-stregoni riuniti in concilio.
Con la Bellucci ci hanno provato, ma chi l’ha vista, con quel baschetto e con il castigato look, ha solamente commentato quanto stesse bene anche così. Dimenticando che si trattava di un film.
Il concilio di pietra, romanzo di Jean-Christophe Grangé, 2001
L’eletto, regia di Guillaume Nicloux, 2006
A cura di Stefano Aldeni
la sottile linea rossa ::