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cultura dell'immagine e della parola

L’insostenibile teatralità dell’essere

Julia è un’attrice famosa e indubbiamente dotata, ma è stanca. Del teatro, del marito, della sua vita. Vorrebbe mollare tutto ma, dopo essersi innamorata di un affascinante ragazzotto americano, rinascono in lei un nuovo ardore e una nuova voglia di vivere. Purtroppo per lei il giovane amante sta soltanto approfittando della sua fama per una rapida scalata in società e Julia, pur rendendosene conto, non è inizialmente in grado di reagire. Riuscirà poi a riscattarsi e come gran finale metterà in scena la sua sublime vendetta.

Attraverso le divertenti vicende di Julia, Maugham racconta il duro mondo del teatro: lo studio, la costanza, la fatica che sono necessari per diventare grandi attori, oltre naturalmente a una certa sensibilità, che non può essere insegnata. Il libro è di piacevole lettura e le pagine scorrono velocemente nonostante la prosa sia ricca di periodi lunghi e di espressioni ricercate. Ciò è sicuramente dovuto alla capacità dell’autore di esprimere i propri pensieri immergendoli nei fatti, nella sequenza degli episodi, nei dialoghi che animano il libro e racchiudono al loro interno il messaggio dell’autore. Inoltre, il frequente utilizzo del discorso libero indiretto permette di esprimere con maggior vigore il pensiero della protagonista (così da avvicinarla maggiormente al lettore), senza perdere la possibilità di mostrare le diverse sfumature legate ai vari personaggi propria di un narratore esterno e onnisciente.

Maugham non si dilunga sul conflitto vivere – recitare: si evince dal libro che, sulla scena, un buon attore è sempre cosciente del fatto che sta interpretando una parte, mentre nella vita non si è sempre altrettanto consapevoli. Regola, quest’ultima, valida per tutti, attori e non.

La sceneggiatura di Ronald Harwood ravviva la trama e rimpolpa il film con ironia e battute di spirito rendendolo piacevole e divertente. Le scenografie, così come i costumi e la musica, trasportano lo spettatore in una Londra anni trenta, curata e accogliente. La regia di Istvàn Szabò è lineare e senza macchia. Il cast è ben assortito e la protagonista, Annette Bening, è una buona interprete, espressiva e versatile. Inoltre, nell’edizione italiana, la doppiatrice, Mariangela Melato, è riuscita a regalare un tocco magico in più rispetto all’originale. La sua voce si impone subito, risultando inizialmente fin troppo eccentrica e stravagante, ma riuscendo, a lungo andare, a fondersi ed entrare in armonia con la fisicità e l’espressività dell’attrice.

Una buona trovata di Szabò è l’introduzione della figura di Jimmie Langton, il primo regista di Julia, che è visibile solo a lei. Questi è il suo grillo parlante, il suo consigliere e la voce della sua coscienza. Nel libro Julia dialoga molto con se stessa: tra parentesi e virgolettato, l’autore riporta sempre il suo pensiero che, la maggior parte delle volte, è irriverente e sfrontato, in netto contrasto con quello che essa lascia intendere al suo interlocutore.
Nel film, invece, la presenza di Langton che commenta le scelte di Julia, la consiglia e la prende in giro è una buona scelta, perché evita l’altrimenti necessaria (e assolutamente inadatta) voce fuori campo. Langton è inoltre una figura importante poiché quasi sempre i suoi commenti sono profondamente legati al modo in cui Julia interpreta la propria vita, così da sottolineare l’inscindibilità presente tra vita e teatro, che è qui molto più profondamente sentita rispetto a quanto, invece, non accada nel libro.

La diva Julia, romanzo di W. Somerset Maugham, 1937
La diva Julia, regia di Istvàn Szàbo, Usa / Canada / Ungheria / Gran Bretagna, 2004

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