Gli umani sognano pecore elettriche?
Siamo nella San Francisco del futuro ma è il 1992. L’aria è irrespirabile, particelle cancerogene e mutagene circondano l’atmosfera e il cielo non è più visibile. La terra è spopolata perché tutti gli uomini che hanno potuto sono emigrati su Marte. Gli enormi palazzi sono vuoti e rimbombano di silenzio. I regni animale e vegetale sono per lo più estinti: non c’è più quasi nulla di vivo sulla terra raccontata da Dick.
Ma soprattutto quello che è vivo si confonde con quello che non lo è.
La scienza è in grado di supplire alla mancanza di animali veri construendone di elettronici e il passo dall’animale all’uomo è breve. Comincia così la produzione di androidi: esseri identici agli umani ma ritenuti incapaci di provare emozioni.
Dal canto suo Ridley Scott propone come ambientazione una ipertecnologica Los Angeles del 2019. La città è tetra e opprimente, ma allo stesso tempo sovrappopolata, viva e guidata, nella sua multietnicità, dalla cultura giapponese da sempre simbolo di modernità. Inoltre, nonostante il film risalga al lontano 1982, né gli effetti speciali né l’impianto scenografico hanno nulla da invidiare a quelli dei giorni nostri. L’armonia tra inquadrature, dettagli e colonna sonora, che solo un grande regista è in grado di ottenere, posiziona senza ombra di dubbio Blade Runner (Ridley Scott, USA, 1982) tra i migliori film di fantascienza mai prodotti.
Tecnologie futuristiche e antiquate convivono con equilibrio ricreando un’ambientazione perfettamente credibile, in netta contrapposizione con la San Francisco di Dick. Infatti mentre il futuro di Dick, così desolato e desertico, era privo di punti di riferimento attuali e a causa di ciò estremamente alienante, Scott propone un avvenire che non sembra così dissimile da una Tokio dei giorni nostri e che è pertanto meno sconvolgente e destabilizzante.
Ma la destabilizzazione e la perdita di punti di riferimento di Dick non si limitano alla sola ambientazione. Infatti, la maggiore e più importante differenza tra le due opere sta nel fatto che, mentre Scott si concentra sulla possibilità che negli androidi ci sia dell’umanità, Dick fissa l’attenzione sull’impossibilità di distinguere tra uomini e androidi.
In Blade Runner il soggetto dello studio psicologico è l’androide stesso, del quale vengono osservati reazioni e pensieri alla ricerca di una possibile umanità. Non viene mai messa in discussione l’essenza stessa dell’uomo.
Per Dick l’essere umano non è più in grado di conoscere se stesso. L’identità del protagonista (un cacciatore di androidi) è costantemente messa in discussione ed egli non è capace di ritrovare in sé la certezza della sua umanità. Diventa impossibile distinguere tra uomini e androidi perché la realtà stessa ha perso la sua stabilità. L’umano è diventato disumano. E non se ne è nemmeno reso conto.
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Dick condanna gli uomini a vivere nell’illusione di poter comprendere la realtà basandosi su falsi sogni. Gli stessi falsi sogni che popolano le menti degli androidi sotto forma di ricordi artificiali e che permettono loro di illudersi di essere umani. Dick studia l’inconscio, la follia, l’allucinazione. Distrugge la fiducia nella fede, cancella la possibilità di un elemento salvifico proveniente dall’esterno. Distrugge qualsiasi speranza di poter arrivare a una realtà oggettiva.
Da qui emerge la principale e sostanziale divergenza tra Blade Runner e Do Androids Dream of Electric Sheep?. L’uomo di Scott è intoccato e vincente. Interpretazione sottolineata dalla scelta di un happy end che si discosta profondamente dal terribile nichilismo di Dick.
In quest’ultimo invece, proprio quando sembra che sia avvenuto il miracolo, si compie l’ultima disillusione: tutto è artificiale e forse è all’uomo stesso che non resta altro che sognare pecore elettroniche.
Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, romanzo di Philip K. Dick, Fanucci editore, 2000
Blade runner, regia di Ridley Scott, USA, 1982
A cura di Silvia Poli
la sottile linea rossa ::