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Intervista a Lino Banfi

Durante la presentazione di uno dei film cult degli anni Ottanta, abbiamo incontrato il protagonista indiscusso, Lino Banfi, il regista Sergio Martino e Anna Falchi.

Un ritorno al cinema dopo circa vent’anni e con una pellicola brillante, dopo alcuni ruoli seri: ha voglia di passare dietro alla macchina da presa adesso? E c’è stata una sua collaborazione anche per la sceneggiatura di questo film?

Lino Banfi: Ovviamente con l’esperienza che ho raggiunto oggi è normale che ci sia una collaborazione in ogni campo, altrimenti non metto proprio le mani, sin dalla sceneggiatura alla sua nascita, e gli sceneggiatori sono sempre d’accordo che scriva anch’io. Per esempio pensi che in questo film le musiche di Amedeo Minghi le ho volute io, pur non essendo musicista, e lo stesso Amedeo mi ha chiesto di dargli una mano, di dargli qualche idea e simpaticamente mi ha concesso di scrivere che le musiche erano sue con la collaborazione di Oronzo Canà, perchè di Lino Banfi sarebbe sembrato troppo spocchioso. Naturalmente lavoro molto spesso con registi amici ai quali, molto garbatamente, suggerisco dei consigli. Rispondendo all’altra sua domanda, Le dico che non escludo che prima di diventare completamente rincoglionito possa decidere di fare il mio primo film da regista, dove finalmente poter fare quello che voglio. Come attore ci sono tanti progetti che ho in mente ma mai pensati solo come regista. Devo essere sincero, però, ripeto è probabile che tra qualche anno, quando decida di lavorare un po’ meno e di “calmarmi”, possa mettermi seriamente dietro la macchina da presa, magari per dei giovani attori, e se capita con una mia piccola partecipazione.

Riguardo alla presenza di Luciano Moggi, che doveva essere nel film e invece non è apparso, cosa ci può dire, cos’è successo?

Lino Banfi: Io con il regista, Sergio Martino, parlammo riguardo a Luciano Moggi ed eravamo d’accordo nel fargli fare qualcosa. Però lui è un personaggio difficile, quindi vedemmo di trovare qualcuno che lo sapesse imitare bene e abbiamo cercato a lungo una figura che avesse la voce quasi uguale. Nel frattempo Sergio incontrò Luciano Moggi in un viaggio aereo, il quale saputo del nostro progetto, disse molto simpaticamente che sarebbe venuto lui e che non sarebbe servito un imitatore. Mi chiamò Sergio, che era appunto insieme a Luciano e mi disse questa cosa: io ero molto contento di quello che Moggi aveva detto sul film e sulla sua possibile partecipazione, però, noi volevamo che facesse solo alcune piccole scene, una volta vestito da capo stazione, una volta da cardinale, ovviamente senza parlare e io dovevo dire nel film “è lui o non è lui”, e così via. Poi un giorno, improvvisamente, leggemmo su un giornale un articolo in cui Lele Mora voleva fare il suo agente e ribadiva che se Moggi voleva partecipare al nostro film, doveva fare riferimento a lui, firmare delle carte, leggere il copione, il ruolo, eccetera. Quindi a un certo decidemmo di lasciar perdere e lui, con molto garbo, capì. Questa è l’unica verità, tutto il resto che è stato scritto riguardo a Calciopoli non c’entra nulla.

Uno dei temi ricorrenti del film è la scaramanzia: com’è nata quest’idea e come l’avete sviluppata nel primo film e anche qui ovviamente. Lei poi è scaramantico?

Lino Banfi: Io assolutamente non sono scaramantico, anzi Le dirò di più: il giorno che dovessi fare il mio primo film da regista voglio vedere gatti neri, dei bei vestiti viola, colore che per altro io adoro, e chissà qualche suora che conduce qualche carro funebre, tutte queste cose che dicono che portino male, perchè personalmente non ho mai creduto alla sfiga. Per me è questione di positività, quindi ripeto dal mio punto di vista non lo sono. Invece con Sergio e con gli sceneggiatori abbiamo pensato questa cosa: nel primo film si parlava sempre di Crisantemi, che era il giocatore sempre pallido, che non giocava mai e che quando perdevamo lo accusavo, che era nato il 2 di novembre e che quindi, secondo molti, ci portava sfiga alle partite. Da allora Crisantemi è la parte sfigata, ma averlo ancora nel secondo film era troppo. Ecco perchè ci siamo inventati la sua morte all’inizio del film e che anche da morto, però, ci porta sfiga comunque. È lui il capro espiatorio. Oronzo Canà butta il sale in campo prima delle partite, ma la scaramanzia fa parte del calcio, si sa e sempre ne farà parte. Mi ricordo per esempio il barone Liedholm che si dice andasse da una maga a Vigevano o non so altri oggi. Di sicuro è qualcosa di attuale. Poi ognuno ha le sue scaramanzie e come dico scherzosamente nel film: meglio l’antisfiga che l’antidoping!

Nel film Lei ha utilizzato per un paio di giocatori due attori nati da reality, che poi nel corso della pellicola vengono fermati per dopin : è una mossa simpatica contro i nuovi personaggi, che senza talento, nascono dalla televisione e lavorano oppure è un caso?

Sergio Martino: Lei parla di Milo Coretti e Giorgio Alfieri sicuramente: li ho scelti perchè mi rappresentavano un po’ quei giocatori belli, “bellocci”, lavativi, come già per altro avevo scelto per il primo film. Devo dire che mi hanno anche sorpreso come attori e personamente non ho niente contro i reality, non so se vuole leggerci questo ma io personalmente non ho nulla contro la televisione o con chi ci lavora. Io ho lavorato in passato per esempio con Luca Argentero, che è nato da un reality, e che si è dimostrato molto professionale: ho subito capito che era un ragazzo che aveva una gran voglia di arrivare. Si preparava molto, era molto serio nell’imparare le battute, e soprattutto c’era la volontà nel migliorarsi sempre, ogni giorno. Oggi infatti i risultati parlano e penso che Luca Argentero possa avere ancora di più spazio. È vero il veicolo per farlo conoscere al pubblico è stato il Grande Fratello, ma se oggi è un bravo attore, quello che ha fatto in passato non pregiudica nulla, non è un’etichetta negativa.

Può parlarci del suo personaggio e com’è stato il lavoro sul set con due mostri sacri della commedia come Lino Banfi e Sergio Martino?

Anna Falchi: Per questo personaggio non ho puntato molto sulla fisicità, nonostante il fine poi nel film sia quello di accappararsi uno scoop ai danni di Oronzo Canà, seducendolo. Alla fine non succede nulla però. Io ho puntato molto sull’autoironia più che sull’aspetto fisico, che viene dopo. Quello della giornalista, che sia Lino che Sergio mi avevano chiesto, è un ruolo che ho accettato subito, e che devo dire per ora è un personaggio che mi sta portando bene. [img4]Per quanto riguarda l’accento romagnolo che ho utilizzato per il personaggio, già in passato avevo lavorato in SPQR con Vanzina e recentemente in Piper sempre con questo accento, che si vede piace ai registi. Utilizzare questa inflessione è stato anche un modo per non prendersi troppo sul serio. Dato che il ruolo era piccolo, recitato normalmente forse non sarebbe arrivato al pubblico, invece con questo accento è risultato un po’ più particolare. Devo dire grazie a Lino che mi ha aiutato, dandomi spazio nella pellicola e con il quale ho instaurato una bella amicizia, alla faccia della competizione tra uomo e donna. E’ bello sapere che ci sono attori che non ti reprimono ma che invece ti sostengono.

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