Intervista a Emilio Estevez
Un progetto lungo e complesso, con un cast all star per raccontare la morte di Robert Kennedy avvenuta nel 1968. Emilio Estevez racconta così il suo ultimo film, Bobby.
Cosa si ricorda di quel 5 giugno di 39 anni fa?
Ricordo che papà mi teneva per mano mentre vagavamo per quei grandi saloni e ricordo che continuava a descrivermi ciò che con quella morte avevamo perso. Da quel giorno in poi, siamo diventati sempre più cinici e rassegnati e credo che questo sia uno dei motivi per i quali oggi ci troviamo a questo punto. Ed è veramente straziante.
Il 1968 è uno dei periodi più rappresentati al cinema. In che modo lei ha voluto farlo?
La gente a volte fa l’errore di vedere il 1968 come una specie di passeggiata lungo Haight-Ashbury, una via colorata e psichedelica, ma in realtà quello è successo dopo. Nel 1968, regnava ancora una certa formalità tipica dello stile di vita americano. La gente ancora si cambiava per andare a cena, tutti dicevano “per favore” e “grazie”. I giovani sostenitori di Kennedy, come quelli di Eugene McCarthy, si tagliavano addirittura i capelli prima di iniziare la campagna elettorale. E io volevo catturare anche quella formalità.
Il suo è un film fatto di moltissimi personaggi. Come ha voluto rappresentarli?
Volevo dar vita a personaggi che fossero rappresentativi di un’epoca e che servissero anche ad ampliare la storia. Sono per certi versi degli archetipi, anche se ormai conosco ognuno di loro in maniera molto approfondita. Sono tutti ispirati a personaggi che in una maniera o nell’altra hanno avuto un ruolo nella mia vita. Inoltre, nello scrivere i personaggi femminili sono stato molto influenzato da mia madre. E’ una persona molto forte e credo che la sua voce sia presente anche in questo mio lavoro.
Come è riuscito a mettere insieme un cast come quello del film?
Tutti coloro che hanno lavorato a questo film lo hanno fatto perché sono interessati alle cose che Bobby Kennedy diceva e la cosa che è emersa chiaramente sin dall’inizio è che le questioni che Kennedy affrontava all’epoca sono le stesse con le quali abbiamo a che fare oggi. Spero che questo film riesca a portare il pubblico a chiedersi perché siamo ancora a questo punto e a far capire a tutti che le idee e le tesi sostenute da Bobby sono ancora rilevanti e pertinenti.
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Una scelta importante è stata quella di scegliere il vero hotel Ambassador per realizzare le riprese…
Si, e inoltre mentre giravamo stavano letteralmente buttando giù i muri dell’hotel! È stato molto difficile riuscire a mantenere il contegno in quelle circostanze, ma la mia idea era sempre stata quella di lasciar scorrere la macchina da presa da una stanza all’altra dell’Ambassador e usare l’architettura dell’albergo come mezzo per collegare tra di loro le varie storie che si intrecciano. Non avevamo mai immaginato di doverci spostare da un set all’altro.
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