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cultura dell'immagine e della parola

Project Nim: la presunzione di essere umano

La presunzione di essere umano

Il dizionario Hoepli definisce così un progetto: “piano relativo a un lavoro da eseguire, elaborato in base a criteri di fattibilità”. Project Nim di James Marsh, già premio Oscar per il miglior documentario nel 2009 con Man on Wire, ricostruisce la storia di Nim, o meglio, del “progetto Nim”: una ricerca scientifica condotta nei Seventies su di uno scimpanzé che, dietro alla consueta tenerezza che il rapporto uomo/animale talvolta può generare, cela invece una terribile verità: la presunzione della razza umana, fomentata dall’oggettività scientifica, che autorizza la stessa a considerare ciò che è diverso (ma soprattutto apparentemente più debole) da sé come privo di emozione, solo un involucro o un guscio contenente il nulla.

Il documentario di Marsh, costituito da immagini d’archivio e interviste postume ai protagonisti del progetto di ricerca (che era volto a verificare l’ipotesi secondo la quale è possibile stabilire una comunicazione tra esseri umani e scimpanzé grazie al linguaggio dei segni), riproduce, ogni volta sotto diverse spoglie, un distacco da qualcosa: di Nim dalla madre biologica (e quindi dai suoi simili e dal suo mondo), dalla madre adottiva, dalla prima insegnante, poi dalla seconda, dal terzo, ecc… Il regista presenta le immagini d’archivio del progetto (che stringono ormai tra due morse quegli avvenimenti) accostandole ai volti invecchiati di quei protagonisti che oggi Marsh lascia parlare dinanzi alla macchina da presa, non prima d’averli fatti esaminare per qualche secondo dallo sguardo spettatoriale.

Il risultato è che lo spettatore è confuso quasi quanto Nim (già diviso tra finta ragione e istinto) quando viene senza pietà rigettato nel mondo animale (non fino in fondo animale perché, com’è risaputo, ontologicamente gli scimpanzé non sono soliti vivere in intelaiature) pur non avendo mai vissuto con quegli esseri pieni di peli, sporchi e senza vergogna nel girar nudi per le gabbie, e a causa, in seguito, della ri-presentificazione postuma di alcuni degli ex (?) amici: a chi credere? Da che parte schierarsi? Se fossi stato al posto di quella ricercatrice, avrei adottato un atteggiamento più positivista, limitando il mio coinvolgimento, oppure l’avrei trattato come un bambino, perché in fondo era indifeso come un bimbo? L’avrei staccato dal grembo della mamma biologica nonostante le urla di quest’ultima o ne avrei rispettato la natura, già fino ad allora abbastanza compromessa? Ma soprattutto, se fossi Nim, sarei in grado di perdonare o no? L’unico che riesce, anche a distanza di anni, a mantenere una posizione più distanziata, dominato per lo più dagli interessi scientifici, è, da vero pater familias, il promotore stesso della ricerca: Herb, il seduttore, lo scienziato affascinante e pieno di verve che prima coinvolge nel progetto una “mamma” dietro l’altra e poi ne sentenzia la loro incapacità dinanzi alle necessità scientifiche.

Curiosità
Nim Chimpsky ha vissuto gli ultimi anni in una riserva per fauna selvatica prima di spegnersi definitivamente nel 2000 per un attacco cardiaco.

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