Ramon Salazar e Monica Cervera
Abbiamo incontrato Ramon Salazar e Monica Cervera, regista e protagonista di 20 Centimetri, irriverente musical su di un transessuale a cui rimangono ancora 20 cm di troppo per essere donna fino in fondo. Ecco cosa hanno detto sul loro film, in uscita anche in Italia.
Come nasce il progetto di 20 Centimetri?
Ramon Salazar – Questo progetto è nato dal mio rapporto con Monica. Ho sempre avuto voglia di scrivere una sceneggiatura dove Monica avesse modo di interpretare un transessuale. Ma anche dalla nostra comune passione per le commedie musicali e i musical. Ad un certo punto abbiamo unito le due idee; ovvero fare una commedia musicale dove il ruolo del protagonista fosse quello di un transessuale, con un carattere un po’ impressionista. Un film dove viene presentato un personaggio e alla fine lo si conosce un po’ di più. Un film costruito con una trama semplice, con poca storia, ma che si basa sulle cose quotidiane della vita dei personaggi.
Monica Cervera – Ramon ha sempre pensato che avrei potuto recitare nella parte di un uomo che vuole diventare donna, inoltre eravamo entrambi grandi appassionati del cinema di Almodòvar, che da sempre mette al centro delle sue storie argomenti simili al nostro. Ramon aveva scritto una sceneggiatura in cui il personaggio del transessuale era in realtà secondario rispetto alla storia, questa sceneggiatura si è lentamente trasformata fino a che questo personaggio è diventato il protagonista. Era chiaro che Marieta avrebbe cantato in diverse lingue, che avrebbe avuto il ritmo di Liza Minelli in Cabaret, o di Shyrlie McLaine ma anche al Rocky Horror Show e a Bob Fosse.
Quale è stato il rapporto con la musica sul set?
RS – Avevo un’idea molto chiara di quali canzoni avrebbero fatto parte della colonna sonora del film, non sono scelte in modo arbitrario. Sapevo perfettamente in che momento dovevamo mettere quella data canzone e perché. Soprattutto l’idea di avere canzoni non originali veniva dal fatto che desideravo descrivere un personaggio che funzionasse per il suo talento e non per la sua intelligenza. Per ogni canzone inserita, proprio grazie alla sua notorietà, permettesse allo spettatore al primo ascolto di identificarla con la vita e il sogno della protagonista. Lo spettatore deve entrare direttamente nel sogno della protagonista in un processo di identificazione immediata. Sono canzoni di cultura popolare e sono la memoria di questa protagonista.
Come avete lavorato e quale è stata l’influenza di Almodovar su questo film?
MC – Monica ha già detto che è evidente che ci sia nel film un influsso di Almodovar, visto che lo amiamo molto. Però nel film non c’è un riferimento diretto al regista spagnolo, c’è piuttosto una serie di riferimenti alla storia della commedia musicale, la storia della musica. Il cinema musicale, i film “dei bambini prodigio” in Spagna erano un genere molto importante, ma qui si passa anche dall’epoca del pop, del video musicale. Penso ai registi e ai film che abbiamo amato di più, erano quindi dei piccoli omaggi che abbiamo voluto rendere a questi registi. I poster appesi nelle case dei protagonisti richiamano De Mille, Antonioni, Fellini, ma anche Vincent Minelli. Per raccontare la storia abbiamo però optato per uno stile più crudo di quello proposto normalmente dal musical, come riferimento penso al cinema di Fassbinder, a qualcosa che somiglia al Cinéma Verité. Abbiamo girato in alta definizione per poter lavorare con tre o quattro camere contemporaneamente, anche per depistare gli attori che non sapevano più quale camera li stesse filmando e per questo si sono sentiti particolarmente liberi. Abbiamo lavorato anche molto con i non attori, anche con prostitute vere. Abbiamo girato nei luoghi reali dove avviene la prostituzione a Madrid. Era il modo per far uscire la realtà in modo forte, per contrapporla nettamente con la porzione onirica del film, quella più legata alla musica.
Nel film ci sono riferimenti al problema dell’educazione, in che modo l’ignoranza e la mancanza di cultura influisce così tanto sui personaggi?
RS – Il tema dell’educazione nel film viene trattato a diversi livelli. Tutti i personaggi sono emarginati per un motivo o per l’altro, si raggruppano e si aiutano fra di loro. Ci sono transessuali, nani, disoccupati, ragazze madri: ero interessato a esaminare la vita di questi personaggi, culturalmente non colti, ma umanamente molto veri. Marieta assume il ruolo di patriarca di questa pseudo-comunità, un micro universo che stabilisce le proprie gerarchie di valori. Quando comincia a crollare, il suo posto viene preso da altri personaggi e la gerarchia viene ripristinata.
MC – Nel film si dice che “tutti hanno il talento, pochi hanno però i soldi per esprimerlo” e bisogna certo poter mangiare e vivere. La realtà è purtroppo molto concreta. Mi immagino chiaramente Marieta nel suo paesino, a 12 o 13 anni, dopo aver ricevuto uno schiaffone dal padre, che cerca lavoro e non lo trova. L’unico lavoro alla sua portata è quello di prostituirsi. Anche noi girando questo film abbiamo sofferto per l’emarginazione che questo tipo di ignoranza crea, che fa soffrire queste persone.
RS – Un esempio di ciò può essere raccontato con un aneddoto. In una precedente versione della sceneggiatura, Marieta finiva a lavorare in uno sportello della metropolitana, volevamo mostrare come queste persone si voglia tenerle nascoste, sottoterra, come sotto vetro, in modo da vederle il meno possibile. Con nostra grande sorpresala metropolitana di Madrid ci ha impedito di girare questa scena, rifiutandoci il permesso di girare negli ambienti della metropolitana. Il rifiuto è stato motivato perché dicevano che mai la metropolitana di Madrid autorizzerebbe di assumere un transessuale, anche per la vendita dei biglietti.
Come è stato accolto il film in Spagna?
RS – Il film è uscito in Spagna a Maggio. La critica è stata molto divisa. E’ stato adorato o detestato, non ci sono state posizioni intermedie.
Il montaggio complesso e ben elaborato, come ci avete lavorato?
RS – Il montaggio è stato molto lungo, è durato oltre cinque mesi. Le scene musicali erano scrupolosamente pianificate, quindi il lavoro è stato più semplice. Le parti reali, le scene più realistiche ci hanno creato qualche problema in più perché come ho già detto sono state girate contemporaneamente anche da quattro videocamere in alta definizione, offrendoci una gamma di scelte molto ampia, quasi infinita. Tanto più che ci in alcune scene abbiamo effettuato dei cambi imprevisti di inquadratura, quasi delle scene rubate per la strada mentre si girava. Il montaggio è stato un processo molto creativo. Tutto però doveva essere al servizio del personaggio di Marieta, quindi anche il montaggio.
Due grandi attrici spagnole, Pilar Bardem e Rosy De Palma, recitano in due piccole parti, perché avete pensato a loro?
RS – La scelta di queste due grandi attrici contribuisce a dare maggior lustro al film, però ci piaceva l’idea di mescolare attori molto noti, attori poco conosciuti e non attori, dando però un tono uniforme alla storia. Abbiamo uniformato anche le generazioni degli attori, ma non solo: i cinque protagonisti vengono da ambiti diversi, dalla televisione, dal teatro, dalla canzone, dal cinema. Molte persone che collaborano e partecipano, piccoli camei nel film, per entrare nella dinamica che volevamo dare al film.
MC – Ho amato molto poter lavorare con queste due attrici che rappresentano una parte della storia del cinema spagnolo. In particolare ho avuto una forte emozione quando abbiamo girato la scena in cui recita Rosy De Palma.
Come ha realizzato la scena sulla Gran Via?
RS – E’ stato abbastanza complicato, potevamo girare un solo giorno, fra le 6 e le 11 di mattina. Potevamo bloccare il traffico solo per cinque minuti ogni mezz’ora e abbiamo potuto fare 6 o 7 ciak per riuscire a girare l’intera sequenza. Si può girare nella Gran Via solo la prima domenica di agosto, perché, dicono, sia il giorno nell’arco di un anno in cui viene meno gente a Madrid e quindi c’ è meno traffico.
Cosa hanno portato e come hanno contribuito le vere prostitute che avete incontrato per la preparazione del film?
MC – Mi hanno fatto vedere come sono. Ho lavorato con transessuali e prostitute, le ho osservate. Ho potuto capire quello che provano e come vivono, anche se per comprendere in pieno cosa accade nell’animo di una persona che non si sente a suo agio nel sesso in cui è nato, bisogna vivere l’esperienza e non impersonarla.
A cura di Carlo Prevosti
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