Mr. Beaver: Don Mel Castoro
Walter Black vede tutto nero. Animando con la mano un castoro di pezza e peluche trova però una nuova personalità, rude, ottimista e costruttiva. Ma pure dominante. Nel mentre, suo figlio maggiore prende nota dei sintomi del padre e vende compiti scolastici per liberarsene in un viaggio.
Fotografia pulitina, colonna sonora in levare e scenette buffe (non per noi, ma in sala c’era chi rideva) fanno sembrare la prima ora di Mr. Beaver un pilot per una serie Abc/Disney. Poi emerge una vena inquietante che porta al colpo di scena, ma lo scarto è ingannevole e le cose ritrovano rapidamente un tono moralistico e ottimistico da grande abbraccio e da confessione pubblica. Già la voce over del narratore implica che Mr. Beaver si muove in territori fiabeschi, dunque il problema non è l’intreccio quanto la superficialità dello sviluppo. Non basta la buona direzione degli attori di Jodie Foster, qui alla sua terza regia, tra cui spiccano i giovani Anton Yelchin (Chekov nello Star Trek di J.J. Abrams) a Jennifer Lawrence (Un gelido inverno) fino alle due voci di Mel Gibson, la sua e una parlata alla Ray Winstone (il doppiaggio perde un po’ di inflessioni gergali ma nel complesso sembra riuscito), per riscattare personaggi stereotipati e momenti di approfondimento rari e scontati.
Stranamente il film al pubblico italiano è piaciuto, forse proprio per la sua patina buonista e il colpo di scena che lo fa sembrare ben più profondo. In effetti la storia clinica del protagonista Walter Black è coerente con la realtà e Mel Gibson è davvero bravo nel renderla, ma la messa in scena è troppo patinata, ricca di musica e povera di trovate. Non a caso il pubblico americano non ci è cascato e considerato il bagno di sangue al loro box office, più che un castoro, serviva una diga.
Curiosità
Già nel 2008 la sceneggiatura d’esordio di Kyle Killer The Beaver era già celebre in quanto votata al numero uno della “Hollywood Blacklist” dei migliori progetti ancora non realizzati.
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