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Decostruzione di un intreccio

Decostruzione di un intreccio

Il cinema di Louis Nero è un cinema indipendente (sua la casa di produzione e distribuzione L’Altrofilm) e artigianale, in quanto scritto, diretto e montato dal regista stesso. È anche un cinema fortemente sperimentale, lontano anni luce dal tradizionale racconto cinematografico. Così è stato per Pianosequenza e La rabbia. Solo questo basterebbe a sollevare una discussione sulla semiotica del film in generale. Ma del resto, ammettiamolo, guardando Rasputin viene davvero da chiedersi se stiamo assistendo a una narrazione compiuta o piuttosto a un esercizio di stile – per altro a volte grossolano – fatto di un manierismo formale estremo, che diventa vera e propria cifra espressiva del film. Al primo impatto, si ha l’impressione che il regista abbia voluto dare sfogo a tutte le potenzialità messe a disposizione dai programmi di editing digitale fregandosene apertamente delle convenzioni a cui ci ha abituati il cinema classico. Una perifrasi per dire, in due parole, che la quantità ha avuto la meglio sulla qualità.

Lo spettatore è sommerso da serie infinite di picture-in-picture speculari, di cui l’unico notevole rimane quello che accosta il totale di una scala a chiocciola sulla sinistra dello schermo all’inquadratura della porta della stanza a cui si accede una volta scesa la scala. La ridondanza di super-imposition di primi piani sul totale della scena, in sostituzione al cut che richiederebbe, in fase di ripresa, un raccordo tra una scena e l’altra; la sovrapposizione delle tracce audio dei dialoghi, che crea un effetto eco un po’ confusionario; le didascalie su oggetti e attori e l’utilizzo di inserti in cui il personaggio di turno espone i propri pensieri riguardo all’accaduto – tutto mira a sabotare il concetto di storia così come lo conosciamo. Potrebbe anche essere un’idea originale, se non fosse che gli espedienti utilizzati in primo luogo avvicinano di molto il film ai documentari di History Channel; in secondo luogo impoveriscono la drammatizzazione della vicenda, inferendo un duro colpo alla sua carica empatica; in terzo luogo appaiono più come stratagemmi per sopperire a una carenza di girato, una carenza motivata, senz’altro, almeno in parte, anche dal necessario ricorso a comparse al posto di attori professionisti. I movimenti di macchina scarseggiano (inquadrature statiche, spesso fuori asse, carrellate teatrali che registrano la bella scenografia, più che l’attore); l’azione è poca e non consequenziale; le sequenze sono divise in scompartimenti stagni, con continui salti temporali in avanti e indietro nella vita di Rasputin. Solo la congiura architettata dai nobili risulta essere l’unico plausibile filo conduttore. Insomma, il racconto non è solo decostruito nei suoi elementi di base, ma è decostruito anche in termini di linguaggio cinematografico.

Rasputin è più un manifesto, che altro: è la descrizione di un contadino “reietto” che incontra i favori della corte e poi viene sacrificato dagli stessi ambienti aristocratici che ne avevano cercato l’aiuto e la compagnia. Rasputin è la vittima del sistema, il nuovo Cristo in croce, come senza mezzi termini dimostra l’accostamento di matrice ejsenstejniana della croce in legno al volto insanguinato di Rasputin in un’inquadratura dai tempi biblici. Rasputin è una sorta di messia (o demone?) portatore di una nuova dottrina di purificazione, che si espleta attraverso l’esperienza del peccato e il pentimento che ne consegue. Rasputin è soprattutto un occultista, un ipnotizzatore che utilizza il sguardo penetrante per attrarre a sé nuovi adepti. Dello stesso potere ipnotico sono investite la colonna sonora del film e la voce narrante, quella di Franco Nero, qui anche produttore esecutivo associato. E così come il film inizia – con Rasputin in fin di vita che sprofonda nelle acque della Neva – così pure finisce, in una struttura ipnoticamente circolare, a suo modo perfetta e inquietante. Perché Rasputin, il personaggio “più misterioso del secolo”, afferma, in fin di vita, di essere immortale.

Curiosità
Gli effetti visivi digitali del film sono a cura dell’italiana Metaphyx, a cui il TG 5 di Mediaset ha dedicato un servizio nel novembre 2010, mostrando clip tratte anche da Rasputin. Il regista Louis Nero compare nel film nei panni del vescovo Il’jodor.

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