Cercatori di oro blu
Pur non brillando per originalità, Tom Reeve, produttore cinematografico con alle spalle qualche sortita dietro la macchina da presa, aveva a disposizione tutti gli elementi per girare una commedia quanto meno apprezzabile: attori con le facce giuste, un convenzionale villaggio irlandese da cartolina e soprattutto lei, la famosa pillola blu, la pepita del XXI secolo a cui i nostri quattro eroi, come i cercatori d’oro di una volta, anelano per cambiare le loro vite. Il viagra infatti è l’unica nota di colore nella vita grigia di questo villaggio abitato prevalentemente da vecchietti, l’unica fonte di ricchezza in un luogo dove non c’è nemmeno una banca. Per questo Tom, Podge, Donald e Sean decidono di improvvisarsi banditi, riuscendo incredibilmente a mettere a segno il furto di un intero carico di pillole.
Ciò che i quattro non prevedono è l’invio, da parte dell’azienda, di una vera task force di professionisti (tra cui riconosciamo Linda Hamilton, sempre impeccabile quando si tratta di maneggiare armi, anche in una commedia), giunti in Irlanda per recuperare il carico. Urge nascondere la refurtiva, ma dove? La risposta a tale domanda porterà ad un autentico sconvolgimento nella vita del villaggio, che scoprirà di avere sensi meno in pace di quello che i suoi stessi abitanti pensavano. La prima parte del film procede piuttosto bene e non mancano i momenti di comicità. I piani d’assalto studiati prendendo a modello i film in tv, lo strampalato agguato al camion di viagra, il “geniale” nascondiglio trovato dai quattro – che già fa presagire le conseguenze cui darà luogo – sono alcune delle trovate più esilaranti del film. La pillola del desiderio, però, da lasciapassare verso la libertà, si trasforma presto in qualcosa capace di incatenare nuovamente i protagonisti alla loro vita di sempre. I nostri eroi si ritrovano così condannati di nuovo a vivere la grigia vita di tutti i giorni, placando propri desideri per non suscitare sospetti, mentre il soporifero villaggio in cui hanno vissuto per anni riscopre ardori che parevano dimenticati.
In questa bizzarra dialettica vi è l’effetto di maggior comicità di Holy Water. L’elemento che, se sfruttato bene, avrebbe reso il film una commedia superiore al filmetto mediocre che, infine, si rivela essere. La sceneggiatura, infatti, avrebbe dovuto giocar meglio su questa divertente tensione tra desideri espressi ma costretti a reprimersi (quelli dei quattro protagonisti) e desideri inespressi e assopiti che, improvvisamente, si scatenano (quelli degli abitanti del villaggio). Purtroppo, però, la seconda parte del film ci riserva una banalità dietro l’altra, scenette più che scontate, una comicità sempre più grossolana e un finale tirato giù in tutta fretta, come se sceneggiatore e regista si fossero annoiati e volessero concludere una storia che non sapevano più come far finire. Gli abitanti di questo villaggio irlandese si saranno pure imbottiti di viagra, ma l’Acqua Santa di Tom Reeve con gli spettatori ha fatto cilecca.
A cura di Saba Ercole
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