Intervista a Vincenzo Salemme
Hideout, in occasione dell’uscita del suo nuovo film Cose da pazzi, ha incontrato Vincenzo Salemme, per discutere dei contenuti etici e sociali della sua ultima fatica cinematografica.
Il ritratto della famiglia media italiana che emerge dal film è quello molto attuale di un gruppo ossessionato dalla paura di non riuscire ad arrivare a fine mese. Eppure il soggetto del film, di derivazione teatrale, è stato scritto molti anni fa, quando queste difficoltà economiche non erano ancora così visibili. Un Salemme profetico, quindi?
No, no…io in realtà credo che le famiglie italiane non siano cambiate molto, semplicemente oggi come oggi la crisi economica è più profonda da un lato e più chiaccherata dall’altro; ma le paure del nucleo familiare sono le stesse ormai da tanti anni, soprattutto nei nuclei monoredditto dove il capofamiglia svolge un impiego statale. Certo ora si sono persi certi privilegi economici rispetto ad allora e la situazione è ancor più difficile. L’idea che cerco di trasmettere è quella secondo cui questa ossessione sia in qualche modo alimentata dalla società, che ti spinge a pensare di poter avere sempre di più: è difficile, pertanto, rimanere onesti fino in fondo. I protagonisti della pellicola sono ligi al dovere più per pavidità che per senso civico o morale, tanto che davanti a una grossa tentazione crollano, rinunciando ai propri principi.
Il nucleo familiare è un po’ il protagonista della vicenda. Se dovessimo trovare un antagonista, più che in Felice potremmo identificarlo nel Denaro?
Si, esattamente. Le dinamiche del nucleo familiare si disgregano sotto l’attacco del contante. D’altronde il denaro è il nuovo Dio della nostra società; con la differenza, rispetto al passato, che oggi la ricchezza deve essere ostentata. Prima, quando ero piccolo io, l’invidia era temuta. Ora è desiderata.
Quando il Comunista confessa la provenienza illecita di quelle ingenti somme di denaro, la famiglia decide di chiudere tutti e due gli occhi e di accettare lo stesso i “pacchetti”. Davvero ha così poca fiducia nell’etica della famiglia media italiana?
Purtroppo credo che la maggior parte delle famiglie si comporterebbe nello stesso modo, e non solo in Italia. Anche perché è sotto i nostri occhi continuamente. Tutti siamo a conoscenza delle immani disgrazie che continuano a compiersi nel mondo: guerre, persone che muoiono di fame, popolazioni intere senza possibilità di accesso a risorse idriche. E intanto noi, me compreso, continuiamo a sprecare enormi quantità di cibo, risorse varie, vestiamo nel lusso più sfrenato, abbiamo sei tv per casa, tre macchine per famiglia e così via. La verità è che abbiamo imparato a convivere con queste realtà. Le sentiamo come qualcosa di totalmente estraneo a noi e al nostro stile di vita.
Però la situazione presentata dalla sua sceneggiatura poteva essere avvertita come un qualche cosa di più vicino alla situazione familiare dei protagonisti; erano tirati in causa in prima persona.
Certo, all’interno di una commedia ho preferito proporre un esempio particolarmente simbolico, tanto è vero che proprio a causa di un coinvolgimento più diretto che investe la famiglia, la loro reazione ci appare ancor più cinica.
Anche il personaggio di Felice, dal canto suo, non è esente da critiche morali. Lei si identifica con questo giustiziere sui generis?
No! Per carità, io non sono il Comunista del film! Felice è sicuramente sadico, si accanisce per motivi personali di rivalsa e vendetta ideologica sul povero Cocuzza, esagerando i modi del suo agire. In fondo, se si comporta in quel modo, è perché in realtà è anche lui uno sconfitto.
Per quanto riguarda Cocuzza, l’altra faccia della medaglia? Qual è il suo giudizio finale su di lui?
[img4]Lui rappresenta la sconfitta non tanto del singolo, come invece è per Felice, ma di una società intera. Una società che per tradizione fonda la propria struttura sulla famiglia; pertanto se la famiglia crolla, crolla anche la società.
Eppure la sua pellicola non è pervasa da un clima di denuncia; il tono appare piuttosto rassegnato. Mi sbaglio?
No, ha perfettamente ragione. Il problema che metto in luce, o che cerco di mettere in luce, è che in questa società o si scende a compromessi dal punto di vista morale, oppure si diventa inadatti a vivere in questo mondo. E si finisce per diventare, come afferma Felice nella sua invettiva, «invalidi morali».
A cura di Simone Penati
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