Gianni e la gentilezza
In tempi di gente sempre più disumana, sospettosa e diffidente, preoccupata e preoccupante, un film come Gianni e le donne solleva il morale e libera le vie respiratorie. Fa passare la depressione e la tosse. Così garbato e concreto da farti sorridere senza mai annoiarti, così pulito e sano da illuminare la strada, come fosse una giornata di sole o una notte di lune piena.
Perché se c’è un tratto distinguibile, quasi a occhi chiusi, del cinema di Gianni Di Gregorio, è proprio questa capacità di creare interesse e simpatia intorno a vicende intime, personali, segrete e, soprattutto, umane. Un cinema che non ha paura di rappresentare la realtà e di dire la verità, mostrando, non nascondendo, le rughe sempre più pesanti e scalfite della pelle, raccontando i pensieri disordinati, mettendo in scena la stanchezza amica di un futuro sempre più antipatico.Di Gregorio è generoso, malinconico e appassionato regista e protagonista (ma anche sceneggiatore) di un film che sprigiona un aroma intenso e autentico che si beve tutto d’un fiato come fosse uno dei tanti bicchieri di vino che, ancora, come nel Pranzo (non conta se qui un po’ ripete la formula di lì), scorrono a fiumi per inebriare, stordire, far sognare senza limiti anche lontano dalla tavola.
La vicenda di Gianni e delle sue donne (la madre, le amiche della madre, la moglie, la figlia, le improbabili amanti) è il nucleo di un film che vuole raccontare con semplicità il viaggio fatto di ansie e malinconia di un sessantenne rimasto giovane dentro. Un principiante del tempo libero in cerca di un di un nuovo senso, che la vita sembra continuamente (e fortunatamente) suggerirgli essere un altro, sospeso in un’altra dimensione, tra luci e fontane, visioni e svarioni. Alla fine i ruoli paiono invertirsi: Gianni e il suo fascino vincono e fuggono dalla vecchiaia, mentre Michelangelo (uno dei pochi giovani del film, ma uno dei tanti giovani) e il suo motorino sono costretti a inseguirli. Ma forse le cose erano così fin dall’inizio, e questo è stato solo un piacevole sogno.
CuriositàHa dichiarato Di Gregorio: «Da ragazzo ho imparato a cucinare per necessità, visto che mia madre era negata ai fornelli. Da grande ho cucinato e cucino per la mia famiglia, naturalmente accompagnando il lavoro con un buon bicchier di vino. È un’attività diventata parte della mia vita, ecco perché questa dimensione casalinga entra in maniera massiccia nei miei film. Lavorando sulla vita quotidiana cerco sempre persone il più possibile “autentiche” e personalità esuberanti che hanno una naturale generosità nel regalare se stessi. Questo è il motivo per cui i personaggi del film continuano a chiamarsi con il loro vero nome. La continuità fra vita reale e finzione cinematografica, questo non staccare i personaggi dalla loro vera esistenza, quando funziona, permette di catturare momenti straordinari».
A cura di Matteo Mazza
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