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Incantesimo napoletano

Incantesimo napoletano

Sebbene il meridione d’Italia sia ancora affetto da tutta una serie di atavici problemi, c’è un settore in cui ultimamente sta facendo la parte del leone ed è quello cinematografico. Mi riferisco in particolare alle più recenti commedie, ambientate al sud, che del sud hanno voluto dare una visone diversa, giocando proprio con tutti gli stereotipi che ancora aleggiano a livello di “cultura” di massa sul nostro Mezzogiorno, per poi contraddirli. Apparentemente anche Paola Randi si diverte a giocare con un certo tipo di immaginario legato al meridione, e alla città di Napoli in particolare: nel suo film vediamo il “classico” politico chiedere e fare favori a un camorrista; vediamo scene di sparatorie sugli scooter; vediamo “guaglioni” della mala appostati agli angoli delle strade. Ma in realtà non è tanto il desiderio di mostrare l’assurdità di uno stereotipo caricandolo con gli strumenti della comicità ciò che interessa alla regista milanese, bensì raccontare una bella, divertentissima storia di amicizia e di amore in una Napoli multiculturale, ricca dei più diversi colori e profumi della Terra. Una Napoli vivace, allegra, rumorosa, che esiste realmente e di cui stavamo perdendone la memoria.

Questa città del mondo è lo sfondo in cui si muovono i protagonisti di questa storia: Alfonso, Vincenzo e Gayan. Il primo è la quintessenza della sfiga: ricercatore, precario, non più giovane, vive nella casa che prima condivideva con la madre, custode di un cimitero (il che a Napoli significa essere continuamente oggetto di scongiuri e a nulla vale la giustissima osservazione del nostro eroe che “I morti stanno tranquilli, sono i vivi il vero problema”); il secondo è invece un politico che deve un favore a don Fefè, capo di un gruppo di esilaranti malavitosi, che invischia il povero Alfonso in una brutta faccenda; Gayan, infine, è un ex giocatore di cricket, giunto in Italia credendo di trovare una situazione migliore (l’into paradiso che dà il titolo al film) e invece costretto a fare il badante ad una vecchietta, amante delle soap opera sudamericane. L’incredulo Gayan si ritroverà, suo malgrado, a convivere con Alfonso e Vincenzo nella sua piccola abitazione situata in una palazzina che sembra un pezzo di Sri Lanka nel cuore di Napoli: i due, infatti, devono nascondersi per sfuggire agli scagnozzi di don Fefè. La convivenza forzata porta questi due personaggi, diversissimi tra loro, a stringere una vera amicizia, che culminerà con un gesto di grande generosità da parte di entrambi: Alfonso darà a Gayan gli ultimi suoi risparmi per permettergli di andarsene a Londra mentre Gayan aiuterà lo scienziato a salvarsi nel pieno di una sparatoria tra gang rivali. C’è spazio anche per l’amore in questa deliziosa commedia e gli spettatori più romantici non potranno che tifare per il ricercatore precario, innamoratosi della cugina di Gayan. Come finirà la storia tra i due non voglio svelarlo, ma vi consiglio di prestare attenzione alle animazioni nei titoli di coda.

Into Paradiso è una commedia come da tempo non se ne vedevano in Italia. La Randi dimostra una grande competenza in fatto di regia (una vera chicca è la breve parentesi in stop motion in cui è racchiusa una romantica fantasticheria di Alfonso), ha saputo investire sugli attori giusti (Gianfelice Imparato, Peppe Servillo, Saman Anthony sono un trio capace di regalare agli spettatori momenti di pura comicità) e, soprattutto, in ogni inquadratura è perfettamente avvertibile il fascino che questa città, colorata e rumorosa come un bazar, ha suscitato in lei. Una città pazza, che toglie tutto per dare, solo se è nella lista dei suoi capricci, dieci volte tanto e così sarà per Alfonso e Gayan, scesi insieme all’inferno per poi raggiungere, grazie all’amicizia, i loro paradisi personali. A questi personaggi il pubblico finisce per affezionarsi come se li conoscesse da sempre, finisce per tifare per loro (riuscirà Gayan ad andare a Londra? Riuscirà Alfonso a conquistare la bella Giacinta?), sino a commuoversi: si presti attenzione al piccolo discorso che fa il ricercatore di fronte a don Fefè, piccola parentesi di grande dignità e sensibilità. Un film da vedere e rivedere dunque; la Randi ha saputo dimostrare in modo eccellente come per fare una commedia brillante non servano volgarità e turpiloqui, né bisogna essere necessariamente comici di Zelig.

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