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Intervista a Giovanni Veronesi

Come definiresti il tuo film? E’ un omaggio alla commedia all’italiana?

Mi piace definirlo un film semplice. Un film pop, come le canzoni di Madonna o Vasco Rossi, con un testo semplice, ma efficace. Il film è nato da un’idea di Vincenzo Cerami e lo abbiamo scritto io e Ugo Chiti. Poi è stato adattato agli attori e alla loro esperienza. Dirigere questo cast è stato bellissimo. E’ un cast incredibile, mi hanno aiutato, soprattutto chi ha già avuto esperienze di regia come Verdone o Rubini. E’ importante avere attori di qualità perché alzano la qualità del prodotto. Forse in questo il cinema scavalca la televisione. Si parla dell’amore in senso ciclico, e mi è piaciuto rappresentare l’amore con ironia e anche amarezza. Monicelli è da sempre un mio grande maestro, e una volta mi disse che l’importante è che il cuore batta sempre, anche se non batte per la stessa persona. Per me la vita è bella e cattiva come la commedia all’italiana.

La tua carriera si divide in due grandi passioni: la regia e la sceneggiatura. Quali differenze riscontri e affronti nelle due professioni?

Quando scrivo sceneggiature, sono molto più libero e sparo idee a raffica. Mi diverto a scrivere. Quando faccio il regista sono invece molto più trattenuto perché ho paura di sbagliare. Certe volte ho l’impressione che i film mi vengano peggio, perché ho paura di dire troppo di me, di smascherarmi troppo. Fare il regista è una specie di seduta psicanalitica. L’unica differenza è che quando vai dallo psicanalista devi pagare, qua sono gli altri che mi pagano. Come mestiere preferisco scrivere sceneggiature, è molto meno impegnativo ed è molto più divertente, anche perché lavoro spesso con i comici. Il lavoro di regia deve rispettare molto di più i tempi.


La comicità contraddistingue sempre le tue storie. Riesci ad immaginare in futuro un tuo film non divertente?

Ho la sensazione che la vita sia come la commedia all’italiana. Cioè bella e cattiva. Per questo motivo ci vuole una sana dose di cinismo, di sano sarcasmo anche per raccontare le cose più drammatiche e tragiche.

Nel tuo ultimo film Che ne sarà di noi emerge anche il tema del ricordo e del tempo che passa, forse per comunicare anche con un pubblico più adulto. Anche in Manuale d’amore, il ricordo svolge questa funzione?

Il ricordo è un’altra di quelle piccole cattiverie che l’uomo si concede nella vita. Ricordare è un po’ come finire un barattolo di Nutella in un giorno in cui sei triste. Ovvero una piccola cattiveria che ti fa male, ma alla quale non sai rinunciare. I ricordi sono un po’ così. Sono importanti proprio perché fanno parte di quei piccoli sadismi che ti concedi nella vita. Di fatto non si riesce a ricordare solo i momenti positivi.

Il film è ricco di dialoghi. Tuttavia, tra le coppie sembra mancare una vera forma di dialogo. Sembra che facciano fatica a comunicare. Questo aspetto nel film è ripreso dal continuo uso di cellulari, o nell’episodio dell’abbandono, dall’utilizzo della segreteria. Questa mancanza di dialogo, è forse il vero male dell’amore?

Io penso che vent’anni fa, questo film, fatto in questo modo, non sarebbe potuto esistere. Io credo che i telefonini abbiano un ruolo determinante nelle storie d’amore, soprattutto all’inizio. Il telefonino in qualche modo ti da il coraggio, o ti difende, dall’amore e dai suoi schiaffi. Per chi come me è riservato, è difficile dire certe cose in faccia; è molto meglio che questa persona lo capisca da sola, con un mio silenzio o con una mia sparizione totale dalla sua vita. Anche se deve esprimere qualcosa di bello, i telefonini con i messaggi, danno la possibilità di scrivere tutta una serie di pensieri e racconti che a voce non riusciresti a fare. Le lettere, e ora le e-mail, sono importantissime, perché danno la possibilità di aprirsi e comunicare.

Quindi prima si era meno aperti, o semplicemente non si diceva?

Prima non si diceva, e lì c’era la vera incomunicabilità. Le famiglie dei nostri nonni, che hanno vissuto anni e anni insieme senza mai conoscersi veramente. Magari conoscevano molto di più i colleghi, più che il marito. queste nuove forme di comunicazione, sembrano asettiche, ma non lo sono per niente. Ho letto dei messaggi che sono veramente romantici, appassionati, oppure cattivissimi, freddissimi e cinici. C’è la possibilità di andare nel profondo, e forse, farlo in faccia alla persona non è neanche giusto. E magari non è neanche vero che non la ami più. Forse in quel momento vorresti un altro tipo di vita, ma il tuo cuore continua a battere per quella persona, anche se non ci stai più insieme.

In una vecchia intervista, dicevi che la vita deve cominciare bene, altrimenti poi tutto si complica. Vale la stessa cosa nell’amore?
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Ovviamente se c’è un inizio disastroso, la maggior parte delle volte, bisogna stare attenti e capire. L’approccio di un ragazzo è sempre divertente. L’uomo è imbranato, e più è imbranato, più piace alle donne. C’è una specie di gioco all’imbranatismo.

A quali progetti stai lavorando?

Ho finito di scrivere il film con Pieraccioni. E’ un film molto, molto comico, basato su idee comiche, con personaggi molto più disegnati. Poi sto lavorando ad un altro film con Ugo Chiti che si intitola Emozioni ed è un film che farò penso tra un anno.

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