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Un film di fantascienza nel paese dei diritti violati

Un film di fantascienza nel paese dei diritti violati

Quando il sindaco di Pomigliano D’Arco, intervistato da Paolo Rossi, afferma che l’operaio non lavora con la stessa solerzia del contadino perché il secondo lavora per se stesso mentre il primo è al soldo di altri, si reagisce non con l’indignazione ma con l’ilarità. Perché di fronte a tali affermazioni non si può non ridere; ridere a denti stretti, con i pugni chiusi, con la consapevolezza che stiamo tornando indietro, a quando l’operaio era, tayloristicamente parlando, un bue da vincolare alla catena di montaggio, ignorante e fannullone, che doveva essere educato dal paternalistico pugno di ferro dell’imprenditore. Più volte, durante il film, Paolo Rossi “invoca” l’aiuto di Charlie Chaplin che, con Tempi moderni, è riuscito a dare l’idea di che cosa significhi lavorare alla catena di montaggio, dello stato di alienazione a cui porta tale tipo di lavoro. Ma Chaplin non è una semplice citazione: se oggi Tempi moderni costituisce un film di straordinaria attualità non è in virtù del suo essere un classico della storia del cinema, ma perché parla di un modo di concepire il lavoro che pensavamo appartenesse ai libri di storia, quando lo sciopero era un reato e una certa stampa, vicina agli ambienti alto borghesi e conservatori, definiva gli operai sporchi, pigri, intellettualmente poco dotati.

Roba da rivoluzione industriale, eppure c’è da far gelare il sangue nelle vene quando sentiamo il sindacalista della Fiom parlare di un’azienda che controlla i suoi dipendenti dentro e fuori la fabbrica, quasi fossimo nella Russia stalinista; quando afferma che l’orario di lavoro è stato strutturato in modo che gli operai non parlino tra loro; quando afferma che è comodo, da parte del potere costituito, far passare gli operai per degli sfaticati fannulloni, perché in questo modo si legittimano, di fronte all’opinione pubblica, certe scelte, si autorizza lo stato a fare la parte di Ponzio Pilato e l’azienda a ergersi come stato a parte, che detta una sua propria carta dei “diritti” dei lavoratori.

Come è ben facile notare, Paolo Rossi aveva tra le mani materiale non scottante, ma incandescente come la lava di un vulcano, e Ridotte Capacità Lavorative (nome che si riferisce a quegli operai con parziali invalidità che vengono destinati a mansioni più leggere, confinati in reparti a parte con gli operai più “scomodi”) sarebbe potuto essere un documentario-inchiesta su uno degli scempi più grandi che siano stati fatti, sin’ora, ai lavoratori del nostro paese e ai lavoratori Fiat della Polonia, scempio di cui i mass media hanno spesso parlato in modo vago e confusionario, troppo guidati dalla partigianeria politica che dall’aderenza ai fatti. Ma così come in Italia il sindacato non sa più fare lotta politica, allo stesso modo mancano registi che abbiano il coraggio (e vengano messi nelle condizioni) di parlare di questa nazione, delle sue vere glorie e delle sue indiscutibili vergogne, in modo chiaro e forte, magari suscitando il riso, ma un riso che faccia riflettere, che non faccia dimenticare la verità ma la stampi nella mente come un marchio a fuoco e sia davvero capace di seppellire questo arbitrario utilizzo del diritto, questo sfoggio della Costituzione a giorni alterni. Rossi indubbiamente ci fa sorridere e, dietro il sorriso, riflettere, ma una volta terminato il film, in verità, non si capisce esattamente cosa sia andato a fare a Pomigliano con la sua troupe, che va da una parte all’altra della città, parla con il sindaco, il parroco e gli operai ma con l’aria di chi non ha altro da fare. Forse Rossi avrebbe fatto meglio a girare questo “film di fantascienza” sulla città della Fiat padrona, con Nino D’Angelo vestito da Karl Marx; da attore di teatro qual è, Rossi imposta l’intero film come se fosse un’opera da palcoscenico, con la differenza che i tempi e, soprattutto, gli spazi del cinema non sono quelli del teatro, che pare il luogo migliore ad ospitare un’opera come Ridotte Capacità Lavorative. Al cinema, invece, l’efficacia del messaggio in gran parte si perde, tematiche importanti vengono discusse al bar o a tavola e tutto sembra ricordare vagamente un filmino delle vacanze, in cui però, per una volta, si sia deciso di non spegnere totalmente i contatti con il reale.

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