Nascita di una nazione, morte di un popolo
Nelle domande di un lettore operaio Brecht interrogava la storia per voce di un operaio, il popolano del XIX e XX secolo: «Il giovane Alessandro conquistò l’India. Lui solo? Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sè nemmeno un cuoco?» Perché la storia è sì fatta dai vincitori ma i vinti sono, in realtà, la maggior parte delle persone, coloro che subiscono sia la sconfitta che la vittoria. È su questo principio di rovesciamento della storia che Martone ha costruito il suo Noi credevamo, film-fiume fondato sulla contraddizione: romanzo popolare che racconta la storia in maniera impopolare, film finanziato con i fondi per la celebrazione del 150° anno dell’unità d’Italia che demolisce la concezione universalmente condivisa sulla nascita della nostra nazione. Il paragone con il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa è immediato ma non perfettamente calzante: se nel romanzo la scrittura è raffinata ed elegantissima la regia di Martone è semplice, talvolta più vicina al fogliettone televisivo che non ai film firmati negli anni passati.
Calata la narrazione negli occhi di tre repubblicani che militano nella Giovine Italia di Mazzini, in Noi credevamo si vede l’Italia come una repubblica mancata piuttosto che una nazione sovrana. È inevitabile il parallelismo con la politica odierna che non riesce a costruire un Paese come dovrebbe essere ma continua a parlare di ciò che il Paese potrebbe diventare, pescando soluzioni nel mare infinito che sta tra il dire e il fare. Angelo, Salvatore e Domenico sono prima di tutto dei perdenti, figure doppiamente tragiche perché, a differenza della maggior parte del popolo, tentano di cambiare invano le sorti della Storia e delle proprie vite. La lotta vera, però, si esaurisce nella mancata cospirazione contro i Savoia e si trasforma in un’estenuante alternanza tra idealismo e rassegnazione: quanto resisteranno i rivoltosi prima di accettare il compromesso?
Garibaldi, Mazzini e i regnanti sabaudi rimangono sullo sfondo, l’impresa dei Mille è solo una storia fuori campo raccontata da una voce off, proprio come noi l’abbiamo sentita raccontare sui banchi di scuola. Nelle immagini di Martone dominano le sconfitte reiterate dei protagonisti, i morti ammazzati, i discorsi sterili perché non faranno altro che sostenere il più forte e non chi ha ragione. Noi credevamo resta un film da e per il popolo che, nel passato come nel presente, lotta continuamente per riprendersi il suo posto nella società italiana, lasciare in qualche modo il segno, migliorarla – come ha detto sorridendo Elio Germano dalla Croisette – nonostante la sua classe dirigente.
Curiosità
La prima versione del film, presentata a Venezia, aveva una durata di 204’. La distribuzione aveva previsto di far uscire solo 30 copie su tutto il territorio nazionale ma è stata costretta a raddoppiarle dopo il successo ottenuto dal film al botteghino nel primo weekend di uscita.
A cura di Fabia Abati
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