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Intervista a Saverio Costanzo

Saverio Costanzo, vincitore con il suo Private del Pardo d’oro al Festival del cinema di Locarno, è all’esordio con un lungometraggio di finzione dopo due documentari già premiati dalla critica. Il regista, nato a Roma trent’anni fa, è giovane e come lui stesso ammette «gli errori presenti nel film sono frutto della poca esperienza».

Cosa intende quando definisce il suo film “generazionale”?

Siamo figli di una generazione che cerca di guardare fuori dal proprio giardinetto. Un film come questo, raccontando una storia vera, vuole essere una testimonianza di quanto accade in uno stato lontano dai nostri confini.

Private è un film dotato di una forte umanità, ben diversa dai toni grotteschi e dal minimalismo con cui ultimamente il cinema italiano prova a raccontare questo genere di storie. In questo senso, come il cinema può aiutare la triste realtà di oggi e assumere un ruolo attivo in essa?

Il cinema ha, e deve avere questa funzione, ma può svolgere questa missione solo attraverso uno sguardo più giovane, che vada oltre la realtà che ci circonda quotidianamente, più esterofilo e meno legato a quanto siamo abituati a vedere dalla nostra finestra, dalla poltrona del nostro salotto.

Il suo film è interamente girato in digitale. Crede che questa tecnologia possa dotare il cinema di uno sguardo nuovo, e/o creare nuove possibilità per i più giovani che sognano di diventare registi?

Questo del digitale è un discorso delicato e complesso, che in un certo senso già non vale più, perché alla fine dei conti girare un film intero in digitale costa quanto farlo in pellicola, credimi, e a questo punto dipende soltanto da quanto va bene per il soggetto che stai raccontando, cioè quanto le due cose si muovono in modo unanime e coerente con la storia che vuoi mettere in scena. Dipende quindi dall’occhio di chi osserva, che in questo caso è quello di un documentarista che è lì per osservare la realtà.

C’è una scena in cui Jamal sogna e vede se stesso nella televisione con la kefiah intorno al collo e un mitra in mano. In dissolvenza scorrono le immagini originali di alcuni video che sembrano quelli in cui i terroristi presentano i kamikaze prima dell’operazione; che senso dà a questa sequenza? E più in generale, quale crede sia la funzione, oltre che l’impatto di questi video nell’immaginario collettivo e sull’opinione pubblica?

Credo che tale testimonianza, dei suicidi, così come degli omicidi di cui poi vengono realizzati i video, sia un discorso molto coerente col tempo che viviamo, in cui l’occhio è tutto. E’ inoltre un esempio di come l’occhio elettronico permetta a quello normale di scoprire realtà che altrimenti non avrebbe modo di osservare e quindi di conoscere.

Alla conferenza stampa erano presenti inoltre il produttore Mario Gianani, e per l’Istituto Luce Angelo Sovena. Si dicono soddisfatti dei risultati fino ad ora conseguiti dal film: «Il nostro obiettivo come produttori per questo film lo abbiamo già raggiunto, è stato venduto in 25 paesi, e usciamo con 25 pellicole in lingue diverse – spiega Angelo Sovena – con un successo paragonabile a quello della vita è bella di Benigni. Sebbene qui si parli di cifre diverse, anche queste sono elevate». Si attende ora il verdetto del pubblico, ma tutti si dicono fiduciosi nonostante la consapevolezza che «in Italia l’80% della gente che va al cinema va a vedere Aldo, Giovanni e Giacomo. Senza voler togliere loro alcun merito, Private è un film fatto per un pubblico diverso, quel restante 20% che va a vedere film come quello di Kim-ki-duk, che vince a Venezia e riscuote successo nelle sale. Questo è un fatto importante, ed è su questo tipo di pubblico che confidiamo». E personalmente mi sento si dire “anche noi!”.

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• Recensione del film Private

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