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La guerra dei mondi

La guerra dei mondi

Torna Antonio Capuano, torna la torbida Napoli con le sue bellezze e i suoi orrori, sebbene non incluso nel concorso (chissà perché) alla 67° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Dopo i tormenti genitoriali di un’adozione difficile (La guerra di Mario), tornano anche gli adolescenti spaventosi e spaventati di Vito e gli altri e Pianese Nunzio, con qualche speranza in più, qualche stereotipo di troppo.

Il film si apre con l’ambiente più familiare e caro alla quotidianità del regista, quegli scogli di Marechiaro da dove si lancia, pericolosamente, un’umanità allo sbando in cerca di emozioni a costo zero. Orde di adolescenti ai margini delle bellezze della città, che piuttosto funestano sfrecciando sui motorini e saccheggiando persino le pizzerie. Finché non vanno oltre il comune disturbare, come fanno i cinque ragazzi del branco, che arrivano a saccheggiare persino una vita, quella di Irene, violentata nel box di casa. Tra questi c’è però uno sguardo profondo e mite, quello di Ciro, che non sembra prender parte in maniera convinta allo stupro, che infatti denuncerà di lì a poco trascinando i suoi compari nel carcere minorile di Nisida, quella galera tanto più assurda perché inserita in un contesto naturalistico mozzafiato. Non riesce più a dormire Ciro, sa di aver spezzato due esistenze, la sua e quella di Irene: è per questo che dal semianalfabetismo passa alla scrittura, tenendo ogni giorno lettere e lettere indirizzate alla ragazza. In parallelo vediamo lo scorrere perplesso delle giornate di lei, ingabbiata in un indispettita osservazione di una realtà che in fondo l’aiuta poco, trovando maggior sollievo vagabondando sotto la pioggia in una città, tutto a un tratto sconosciuta, piuttosto che tra i deliri isterici neoborghesi dei genitori (Luisa Ranieri e il fantasma remoto d’un padre, interpretato da Corso Salani). Un dialogo a distanza, quello tra la peggio gioventù e tra i piccoli adulti già inscatolati nel loro brillante futuro, ma mentre il racconto della prima è affidata ai volti autentici, spietati e tragicomici, (come quelli dei compagni di prigione di Ciro) dei neoattori selezionati dal regista, l’immagine che viene data della Napoli bene è invece un concatenarsi di stereotipi e per quanto volenterosa, all’esordiente protagonista Irene De Angelis manca ancora un qualsiasi quid, che stia nel talento o nella fisicità, per risultare credibile o almeno appassionante. Pregevoli gli interventi degli altri attori, come Fabrizio Gifuni e un’imbruttita Valeria Golino, con tanto di lentine scure e capelli arruffati (proprio con lei Ciro avrà un bello scambio di battute sul concetto di “bellezza”).

Capuano edulcora la struggente spietatezza di Vito e gli altri, e la tollerabile amoralità di Pianese Nunzio, due titoli difficili certo, ma di sicuro più efficaci. Non a caso la parte migliore del film è l’inizio, il rapido montaggio (firmato Giogiò Franchini, maestro del settore) con cui descrive la giornata-tipo dei nuovi piccoli mostri, più simile al suo precedente cinema, viscerale e senza veli.

Curiosità
Questo film è l’ultima interpretazione di Corso Salani, attore e regista scomparso lo scorso 16 agosto all’età di 48 anni, a causa di un malore improvviso. Qui interpreta il padre di Irene. Presentato alle Giornate degli autori a Venezia 67, il film ha ricevuto il premio Lanterna Magica GCS.

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