Intervista a Daniele Gaglianone
Il suo ultimo film, Nemmeno il destino, è ispirato all’omonimo romanzo di Bettin. Cosa l’ha colpita di questo libro?
Mi ha colpito soprattutto l’ambiente fisico e mentale in cui i personaggi si dibattono. Le vicende del libro hanno luogo dalle parti di Mestre, in una periferia che non è più città ma non è ancora campagna. Mi sono riconosciuto completamente in questo ambiente; per me è stato come un salto a un passato in cui anch’io vivevo situazioni simili a quelle dei protagonisti. A questo territorio fisico corrisponde uno stato d’animo legato all’età dei personaggi, età in cui si è in bilico fra infanzia e maturità.
Mi ha colpito anche lo stile con cui il libro prende forma, l’ho sentito molto vicino al mio modo di percepire le cose.
Sappiamo che i due protagonisti sono interpretati da attori non professionisti. Come li ha scelti, e che tipo di rapporto ha instaurato con loro?
Non sono professionisti, anche se Fabrizio Nicastro ha alle spalle l’esperienza di un gruppo teatrale, un impegno che prende molto sul serio. La scelta è stata immediata, soprattutto per Fabrizio. Nonostante la differenza di età, si è creato fra noi un rapporto molto robusto e intenso.
Ho letto che è stata usata una tecnica di sviluppo che esalta particolarmente il contrasto chiaro-scuro.
Il salto della sbianca è un procedimento che prevede la mancata realizzazione della fase in cui si puliscono dal negativo i granuli d’argento non impressionati. Questo porta a un risultato paradossale, con i neri che diventano nerissimi e i bianchi bruciati; è come se le zone d’ombra fossero sottoesposte e quelle di luce sovresposte. Abbiamo fatto questa scelta per ottenere una fotografia che fosse cruda ma, allo stesso tempo, che avesse in sé un elemento onirico, iper-reale.
Bettin, nella postfazione alla seconda edizione del suo libro, parla di un romanzo di Faulkner L’urlo e il furore, che lei fa comparire in una scena del film. Può dirmi qualcosa su questo romanzo e sul perché di questa scena?
Mi è venuta l’idea di mettere in tasca a Ferdi L’urlo e il furore. Ho pensato che se Ferdi si fosse trovato in biblioteca e avesse visto questo libro, lo avrebbe rubato, affascinato da questo titolo con cui avrebbe sentito di avere qualcosa in comune. Quando Bettin ha visto questa scena è rimasto molto colpito. Avevo citato il suo libro preferito nella sua edizione preferita, e che lui non aveva nemmeno menzionato nella prima edizione di Nemmeno il destino, perché sottendeva a tutta la sua opera. Ho capito che nonostante le grandi differenze fra libro e trasposizione, il film e il romanzo erano riusciti a trovarsi in un senso profondo, tanto che nella seconda edizione di Nemmeno il destino, Bettin ha inserito il riferimento a Fulkner.
Come ultima domanda, le chiederei di dirci qualcosa sulla sua dedica del film, «alle cose che si perdono».
E’ una dedica che ha diverse sfumature. Alle cose che inevitabilmente perdiamo, ma anche alle cose e alle persone che si perdono da sole. Alle cose che sono state perse ma anche alle cose che si perdono perché non trovano più un senso a quello che stanno vivendo, che perdono la strada. Possiamo pensare che Alessandro dedichi tutta la storia sia a Ferdi come amico perduto, sia a Ferdi come persona che si è persa.
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