hideout

cultura dell'immagine e della parola

Il terrore dell’ignoto

Il terrore dell'ignoto

Cosa ci riserva il futuro? In molti hanno fornito ipotesi, spesso catastrofiche, su mondi post-apocalittici. Il regista Christian Alvart, su sceneggiatura di Travis Milloy, mostra qualcosa di più: che l’uomo-astronauta, privato di leggi e in assenza di un contratto sociale – in seguito al collasso per sovraffollamento della Terra – diventa homo homini lupus e, contagiato dal virus Pandorum (con riferimento al vaso di Pandora, incubatrice di tutti i mali del mondo) si auto-investe dei poteri divini per ricreare una sorta di società piramidale dei primordi. La speranza nella fantascienza di un futuro iper-tecnologico e interplanetario risiede in una galassia lontana, precisamente nel pianeta Tanis: una riedizione del pianeta Terra su cui l’uomo, da novello colonizzatore, potrà stabilire ex-novo il suo insediamento. E, nota bene, quel nome rievoca la Tanis di Indiana Jones e i predatori dell’Arca perduta (Steven Spielberg, 1981), termine greco per la città dell’antico Egitto che si dice conservasse le tavole della legge: fuor di metafora, quei famosi dieci comandamenti che diedero inizio, con Mosè, alla storia della comunità ebraica. Un parallelismo non da poco, visto che la spedizione della navicella Elysium (altro nome “in codice”), come una nuova arca di Noè, attraversa lo spazio in cerca di una seconda occasione per i pochi umani superstiti e per i campioni di animali in vitro custoditi a bordo.

La pellicola di Alvart assembla il genere sci-fi con l’action movie, l’horror e il thriller, attingendo alle atmosfere cupe e grezze di film culto quali il primo Alien di Ridley Scott e 1999: Fuga da New York di Carpenter. La fotografia è buia, come a sottolineare la claustrofobia fisica e psicologica all’interno della navicella spaziale – ma anche all’interno dei labirinti imprevedibili della mente umana -; i campi sono stretti, per evidenziare il circoscritto campo d’azione di Ben Foster, nella parte del pallido caporale Bower, & Co.; la scenografia costruisce ambienti quasi industriali, metallici, torbidi e abbandonati a se stessi. Gli effetti speciali si limitano al trucco e alle scelte di editing compiute in fase di post-produzione. C’è qualche ricorso spot ai flashback e, nella sequenza “clou” che svela agli astronauti la realtà che si nasconde dietro le paurose forme di mutanti generatisi all’interno della navicella, si coglie un ostentato montaggio alternato: da una parte le scene in cui il luogotenente Payton si confronta con il capitano Gallo e dall’altra quelle in cui il disturbato Leland, ex componente del team di Gallo, svela l’arcano a Bower e soci. Nulla di spettacolare nel film, quindi. Si avverte, piuttosto, il desiderio di ritornare ai vecchi canoni del genere, sia dal punto di vista formale che narrativo, senza fronzoli di troppo.

Approdati al primo decennio del Ventunesimo secolo, sembra che il destino di progressivo spegnimento della Terra e di estinzione del genere umano sia incontrovertibile. L’uomo non può più scappare da sé stesso e dalle sue più recondite paure, ma, nel suo infinito egotismo, ha ancora la fortuna, o sfortuna che dir si voglia, di potere fuggire dal suo vecchio e consunto pianeta per trovare sicuro rifugio in mondi paralleli… scoperti, del resto, grazie alla sua indomabile sete di conoscenza.

Curiosità
Uscito nelle sale americane alla fine dell’estate 2009, Pandorum trova la via per quelle italiane solo il 6 agosto 2010. Il film è stato concepito come primo di una serie, ma gli incassi finora ottenuti (meno di 20 milioni di dollari nel mondo), fanno dubitare sulla produzione di futuri sequel da parte della Impact Pictures.

Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento!

«

»