Intervista a Joel Bakan pg. 2
Cosa si aspetta che faccia in concreto un spettatore dopo che ha visto il suo documentario? A che livello pensa di poter toccare la coscienza del proprio pubblico?
Lo scopo fondamentale per cui ho scritto il libro e girato il film è stato quello di rivelare la vera natura delle corporation perché quello di cui la gente ha consapevolezza sono in generale gli effetti che hanno le corporation nel mondo, ma penso che la maggior parte della gente non conosca la natura istituzionale delle corporation. Non c’è bisogno di dire che questo non è un film “accademico”, abbiamo fatto un film con un forte punto di vista con l’intento di raggiungere il cuore delle persone. E lo stesso ho fatto con il libro, non è un saggio accademico, ma racconta storie e cerca di raggiungere sia il cuore che la testa delle persone. Io vorrei che la gente lasciasse il cinema sentendo che può fare qualcosa, sentendosi più forte, poiché una delle cose che vengono messe in luce è che le corporation sono una nostra creazione, sono create dai governi, e non provengono da dio e dalla natura. Sono delle istituzioni che noi stessi abbiamo creato, e noi stessi possiamo controllarle e ricrearle, almeno in teoria. Quindi voglio che la gente si senta in grado di fare qualcosa, si senta informata e più forte, e quindi voglio che la gente poi faccia qualcosa. Quello che poi di preciso potrà fare non sta a me dirlo. Ogni persona ha differenti attitudini, differenti energie, differenti bisogni. Ma quello che vorrei fare è ridare loro la consapevolezza di essere dei cittadini, poiché soprattutto in Nord America stiamo perdendo questa consapevolezza. Vediamo noi stessi come consumatori, come lavoratori ma non vediamo noi stessi come cittadini, è questo è un problema. Penso che in Europa, in un certo senso, questo film sia più importante che in Nord America e la ragione di ciò è che il modello di corporation a cui noi stiamo guardando è quello anglo-americano, ed è un modello in cui l’unica cosa per cui una corporation è creata e l’unica cosa che è legalmente tenuta a fare è di creare profitti per i propri azionisti. Il modello europeo di corporation è stato storicamente differente, a cominciare dal fatto che gli azionisti non sono mai stati gli unici proprietari delle corporation: in Italia erano le famiglie, in Germania le banche, in Francia il governo. In questo modo le corporation europee vedevano se stesse responsabili non solo verso gli azionisti ma anche nei confronti delle comunità in cui erano inserite, dei loro lavoratori, dei valori ambientali. Questa è un po’ una visione idealistica, ma almeno è differente rispetto alla concezione di corporazione che esiste negli Stati Uniti. Quello che poi è accaduto con l’avvento di capitali americani nelle corporation europee, è stato quello di spingerle verso il modello americano, con il conseguente unico scopo di creare profitto per i propri azionisti. Quello che la comunità europea sta ora facendo attraverso commissioni, dibattiti ed esperti è di spingere le corporation verso il modello anglo-americano. Quindi non penso di esagerare dicendo che l’Europa, quantomeno, possiede un ideale di corporation e penso che ciò debba essere difeso, ma purtroppo è stato abbandonato a favore del modello americano. C’è una cosa in particolare che gli europei possono fare, ed è quella di cercare di rafforzare il proprio tradizionale modello di corporation.
Il punto di partenza del documentario sembra quello di una critica all’idea di corporation come persona. Si sottolinea anche che la moralità della corporation è quasi necessariamente diversa dalla moralità delle persone che la compongono. Com’è possibile che la moralità di una corporation, che non è una persona fisica, possa prevalere sulla moralità delle persone?
Penso che le coporation siano uniche nel creare un’interessante domanda su cosa accada alle persone dal momento in cui entrano nelle istituzioni. Voi tutti siete giornalisti e avete una differente concezione su quello che potete o non potete fare. Vi recate al posto di lavoro e il vostro editore vi da una storia, ed è qualcosa che voi sentite sbagliata e terribile personalmente, ma voi sapete, essendo giornalisti, che dovete scriverla, e dovete compiere il vostro dovere e dovete fare quello che il vostro editore vi ha chiesto. Siamo sempre in conflitto tra ciò che noi vogliamo in quanto esseri umani e ciò che le istituzioni in cui lavoriamo ci chiedono. Le coporation chiedono alle persone che le guidano di prendere delle decisioni che sono antitetiche rispetto a ciò che io credo sia una concezione ragionevole di umanità. Nel film e nel libro vediamo esempi di questo: usare bambini come lavoratori in condizioni orribili, danneggiare irrimediabilmente alcuni ambienti ed ecosistemi. Queste sono cose che la gente fa con facilità, in veste di membri di una corporation, ma quando vanno a casa e gli chiedete se sia una cosa giusta sfruttare i bambini ed inquinare l’ambiente, io penso che la maggior parte di loro risponderebbero negativamente. Il modo migliore che mi permette di capire questo tipo di atteggiamento è fare un paragone con l’hockey. Quando entro in campo e gioco ad hockey io faccio delle cose terribili alle altre persone, le colpiscono, le spingo, le prendo a pugni a volte ed il peggio che mi può succedere è di prendere una penalità, e così mi devo sedere per due o cinque minuti a bordo campo. Se uno di noi fa questo nella sua vita di tutti i giorni, finirà probabilmente in prigione per due o cinque anni. Quindi quando si scende sul campo di ghiaccio è come se tutte le regole che governano il mondo cambiassero, ed è lo stesso ciò che accade all’interno delle corporation. Le persone che le gestiscono possono essere dei bravi genitori, bravi mariti, mogli o amici, ma quando entrano nella corporation è come per un giocatore di hockey entrare nel ghiaccio. A quel punto stanno agendo in un ambiente governato da differenti leggi morali. Per capire per quale motivo lo fanno e come possano vivere in questa situazione ci vorrebbe una conoscenza psicologica più approfondita dell’animo umano che io non possiedo.
Visto che definisce le corporation come psicotiche, paragonandole ad uno schizofrenico, quale cura c’è? Quali vie d’uscita ci sono?
Ho cercato di essere sempre pragmatico sia nel libro che nel film e di non essere utopistico, quindi parlare di un’eliminazione delle corporation mi sembra un discorso totalmente utopistico, e non credo che sarebbe utile ne tanto meno democratico. Quello che però vorrei vedere è un tentativo d’intraprendere altre forme d’impresa e credo che il vostro paese possa fare da guida in questo senso, avendo un gran numero di cooperative, anche se stanno comunque subendo una forte pressione da parte del capitale delle corporation. Di sicuro bisogna esplorare differenti forme d’impresa e bisogna tentare di cambiare la natura delle corporation, cercando di recuperare il modello europeo. Io penso che la cosa più importante sia quella d’iniziare a riconquistare il controllo democratico delle corporation attraverso il ripristino di un sistema di regolamentazione pubblico e quindi di tutta la sfera dell’assistenza sanitaria e pubblica che negli Stati Uniti è andata persa, ma sopravvive in Canada e in tanti paesi europei. Quindi dobbiamo conservare le istituzioni che hanno a cuore l’interesse pubblico, l’ambiente, la salvaguardia del posto di lavoro, la tutela dei consumatori. Questo a più livelli, anche per esempio all’interno dell’emittenza televisiva e radiofonica, piuttosto che negli ospedali e nelle scuole, in istituzioni dove i rapporti e gli interessi commerciali non dovrebbero entrare. Ma siccome oggi la tendenza è quella di eliminare tutta questa serie di tutele che le nostre nazioni hanno costruito attraverso le varie manovre di deregulation e di privatizzazione dobbiamo assolutamente opporci e tentare di lottare contro questa opera di smantellamento. I cittadini devono tornare ad avere una vera partecipazione democratica alla vita pubblica. Nel libro e nel film vengono esposte alcune possibilità pragmatiche e quindi realistiche che possono contribuire al cambiamento: l’esempio del movimento no-global è stato fondamentale per smuovere le coscienze di molte persone. Purtroppo all’interno del movimento c’è una grossa parte che si rifiuta di collaborare con le istituzioni e i governi, e per quanto io sia consapevole che spesso questi ultimi siano corrotti, io non credo che valga la pena di abbandonare il tentativo di interagire con essi e di usarli come punto di partenza per costruire qualche cosa di diverso. Mi sembra l’atteggiamento pratico più giusto e corretto.
Il fatto che lei è canadese e ha fatto un lavoro prevalentemente negli Stati Uniti è stato un vantaggio o uno svantaggio?
Penso proprio che sia stato un vantaggio dato che noi canadesi abbiamo una sorta di distacco critico dagli Stati Uniti, siamo toccati da tutto quello che lì succede ma non ne facciamo comunque parte. Alcuni dei più importanti critici della società americana provengono non a caso dal Canada, Naomi Klein, per esempio, è canadese, Michael Moore fa il suo film in Canada. C’è una ragione per spiegare questo: noi produciamo bravi giocatori di hockey, sciroppo d’acero e bravi critici degli Stati Uniti, sono tre delle nostre principali esportazioni…
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