Troppo caotica
La viva curiosità della settima arte nei confronti dell’esoterismo e della possibilità di vivere più di una vita non è una novità (basti guardare la Palma d’oro di quest’anno a Cannes). Il fascino di questa tematica è quindi indubbio, tanto che anche la tv spesso mostra persone che si sottopongono a vari tipi di ipnosi, tra cui quella regressiva che permetterebbe di portare alla luce esperienze di pre-morte, anche molto lontane nel tempo. Che si creda o no a queste pratiche, il caos e l’irrequietezza di Ana sono proprio la naturale conseguenza della loro sovrapposizione alla sua vita presente: lo spettatore viene condotto, in una serie decrescente di capitoli (non giustificata a livello narrativo ma che ricorda il countdown per entrare nello stato ipnotico) fino all’origine.
C’è un po’ di filosofia platonica nella scelta di far risiedere la protagonista in una caverna da cui, una volta uscita, si renderà conto che le sue “ombre” dipinte sulle pareti non sono sogni a occhi aperti ma realtà che appartengono a un passato lontano. I paesaggi caldi e avvolgenti, i frequenti contatti con il sovrannaturale e una colonna sonora assolutamente coerente e azzeccata, oltre a una protagonista esordiente ma talentuosa, sono senz’altro i punti forti del film. La reincarnazione è un pretesto per parlare poi del binomio primordiale tra uomo e donna identificati, come nei più agguerriti slogan femministi, in carnefice e vittima, “stupratore” e “puttana” e rappresentati simbolicamente, nella sequenza iniziale, da un falco che ferisce mortalmente una colomba. La sensualità che il regista Julio Medem mette in scena trabocca prepotentemente da ogni inquadratura ed è senz’altro il suo tratto più caratterizzante. Per buona parte del film, a parte qualche dispersiva e inutile deviazione, il racconto coinvolge e affascina (grazie anche a una accurata messa in scena). Il problema è però che gli spunti lanciati rimangono quanto mai superficiali e se Medem fa compiere ad Ana un viaggio interiore sempre più profondo, lo stesso non si può dire del suo lavoro. I simboli e i rimandi che il regista cerca di infilare sono infatti innumerevoli, ma tutta questa bella tavola apparecchiata con mitologia, parapsicologia e mistero sortisce l’unico effetto di confondere e appesantire, anziché saziare e ingolosire. Tanto che l’aggettivo che qualifica il personaggio di Ana si potrebbe estendere al film stesso.
In un finale delirante, inconcludente e anche di cattivo gusto, Medem perde completamente le redini della materia narrata che già aveva faticato a mantenere salda durante il resto dell’intreccio. Rimasto senza idee, dopo aver fatto regredire la sua protagonista fino alla sua prima vita, prova a giocare l’ultima carta, quella dello shock, della provocazione che nella sua insensatezza risulta soltanto volgare. Quel che dispiace è che da un ottimo punto di partenza, il caos che contraddistingue la vita di Ana abbia preso il soppravvento sull’intero film e la pessima risoluzione ne è la prova definitiva.
Curiosità
Julio Medem ha dedicato il film alla sorella Ana, pittrice scomparsa nel 2001 in seguito a un incidente automobilistico proprio alla vigilia della sua più grande mostra di quadri. Le opere che compaiono nel film e che vengono attribuite alla protagonista sono dipinte da lei stessa. Il regista inoltre invitò realmente a collaborare, durante le riprese, cinquanta giovani e promettenti artisti e le loro opere sono consultabili sul sito www.caoticaanaarte.com.
A cura di Caterina Danizio
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