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Intervista a Giacomo Gatti

L′apprendistaAnzitutto una domanda sulla persona: parlaci di te, di come hai iniziato al cinema e cosa stai facendo oggi.

Ho iniziato prestissimo. A dodici anni ho deciso che da grande avrei fatto il regista. A quattordici mi hanno regalato la prima telecamera e ho iniziato a girare cortometraggi e piccoli documentari. Ho studiato moltissimo cinema, leggendo, guardando film, frequentando corsi… e poi sono arrivate le prime occasioni professionali. A ventitre anni ho iniziato a insegnare regia in una scuola media e da lì in scuole sempre più qualificate e di settore. A venticinque ho iniziato a lavorare come aiuto regia in pubblicità, parallelamente mi auto-producevo i primi corti in pellicola 35mm. Da qualche anno alterno pubblicità e insegnamento alla regia dei contributi extra per dvd restaurati editati dalla Fox.

Il tuo film è uno dei più complessi/completi presentati in concorso, non solo perché svolge una narrazione, ma anche per i molteplici piani del discorso. Puoi raccontarci la genesi di questo corto?

Il mio corto precedente Il Vuoto ha vinto il Festival Arcipelago 2003 di Roma e questo mi ha dato la possibilità di poterne girare un altro più ambizioso e articolato… avevo a disposizione più mezzi e risorse finanziarie. Ho coinvolto i miei collaboratori storici e gli amici con cui abitualmente lavoro e ho trovato un finanziatore nella persona di Luigi Vitali e un grande appoggio nella casa di produzione Quattroterzi e in quella di post-produzione Torrevado di Milano. Ho scritto diverse versioni di un soggetto che voleva affrontare il bisogno di vincere la paura della morte sconfiggendo i fantasmi dell’infanzia…

Vorremmo che ci illustrassi le varie tematiche espresse nel tuo lavoro: la memoria, il passato, l’inconscio, il rapporto sogno/realtà…

Ho cercato di lavorare ancora sul tempo, sulla memoria e sulla perdita dell’innocenza, i miei temi esistenziali… ho rispolverato una mia passione dell’infanzia: quella per le campane…L′apprendista volevo fare un film in cui si vedessero suonare le campane come mai avevo visto sullo schermo. Ho cercato di conseguenza i luoghi che meglio potessero contenere questi temi e successivamente è nata una sceneggiatura che li collegasse. Di tutto il resto lascio che ne parli il film. Penso solo che non sia un film narrativo in senso classico, penso che sia più in funzione il pensiero percettivo che non quello logico, ma è una mia idea. Amo un cinema di situazioni, di atmosfere, di suggestioni…

Parlaci della vostra location. È un luogo molto suggestivo e nella sua tipicità riesce ad essere universale. Soprattutto siamo rimasti affascinati dalle campane…

Ho visto decine di chiese e di campanili nei miei pellegrinaggi in Liguria, che è una vera e propria terra di campane. Poi finalmente ho trovato la Basilica dei Fieschi di San Salvatore di Cogorno. Uno splendido complesso monumentale del 1250. Il mio lavoro è stato proprio quello di astrarlo dal contesto urbano e collocarlo in una dimensione spazio/temporale indefinita. È il luogo in cui convergono le tre storie e le tre temporalità differenti. Le campane scandiscono il tempo della vita e sono il simbolo di un linguaggio pre-verbale.

Se avessi potuto assegnare un premio vi avrei dato quello per la migliore fotografia. Vuoi parlarci un po’ di questo aspetto de L’apprendista?

Non amo un cinema di prosa, amo un cinema di poesia che sia in grado di collegare tutti i suoi elementi in una grande danza in cui ognuno diventa parte integrante dell’altro. Le posizioni di macchina, i movimenti, il modo in cui inquadrare i personaggi, gli ambienti li scelgo sempre molto prima delle riprese, quando giro il corto in digitale; poi faccio una ricerca visiva e mi confronto con Enzo Fumagalli che ha seguito la fotografia dei miei corti in pellicola. Questa volta abbiamo lavorato per gli esterni su una sorta di bianco e nero molto contrastato, virato in argento (per le scene dei bambini) e in color bronzo (per le scene della campane). Per gli interni della grotta… amo la pittura della penombra (Füssli e George de La Tour tanto per citare i più noti), poi ci siamo lasciati influenzare dai lavori fotografici dell’australiano Bill Henson e della sua Naked Youth.L′apprendista

Raccontaci la tua esperienza al MFF. Com’è stato partecipare?

Milano è la mia città. Ho passato notti di divertimento in cui ho rivisto tanti amici e ho fatto una scorpacciata di corti come non mi capitava da tempo… mi piace molto l’idea della piazza… di un pubblico eterogeneo e giovane… una partecipazione che non trovi in altri festival.

Un’ultima domanda: ci interessa il tuo parere di regista indipendente sulla realtà produttiva/distributiva italiana per i giovani esordienti come te. Aspetti negativi e positivi della tua esperienza.

Bisognerebbe aprire un discorso lunghissimo… Purtroppo la situazione italiana dei corti rispecchia in piccolo quello che accade per il cinema ufficiale. Improvvisazione, rifugio in consolidate strutture narrative legate alla commedia all’italiana, cabarettisti prestati al cinema… i soliti quattro nomi che permettono di chiudere una produzione… per non parlare dei finanziamenti statali… Purtroppo è ancora molto lontana l’idea di destinare parte degli utili d’esercizio del cinema ufficiale alla crescita di nuovi registi o alla sperimentazione di nuove forme di comunicazione.

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