Un patchwork di forme vs. contenuti
Premessa e tema di questo nuovo action movie / thriller futuristico targato Neveldine & Taylor non dicono nulla di nuovo, mettiamolo subito in chiaro. Ciò che fa la differenza è la forma in cui sono espressi e dunque: un montaggio frenetico (in linea con quello dei precedenti Crank e Crank 2 del medesimo duo registico), l’uso sfrenato di effetti visivi ottenuti in post-produzione e un linguaggio frammentario, nipote dei videoclip musicali e figlio dei programmi TV indirizzati al target dei teen-ager di oggi. Calcando in modo vario le impronte di film di genere ormai datati, quali 1997: Fuga da New York (John Carpenter, 1981) e L’implacabile di Paul Michael Glaser (The Running Man, 1987) – che vedeva l’allora muscoloso action hero Arnold Schwarzenegger in fuga da un clan di giustizieri in un sadico Tv show (iperbole del successivo format tv American Gladiators) – Gamer non fa altro che sostituire un hard boiled Kurt Russell e il governatore della California con un più ordinario Gerard Butler, combattivo e in forma smagliante in memoria dei tempi di 300 (Zack Snyder, 2006).
Ovvio che ci sia un aggiornamento, sia per quanto riguarda il tipo di eroe (è finita, finalmente, l’epoca dei bodybuilder alla Jean Claude Van Damme, ma anche dei giustizieri solitari), sia per ciò che concerne il medium di riferimento, che qui vede internet e la realtà virtuale prevalere su ogni altro mezzo di comunicazione. Rimane immutato. Comunque, il personaggio del poliziotto buono che, suo malgrado, viene costretto a uccidere per non farsi uccidere a sua volta. Le citazioni e le reminiscenze di altre pellicole potrebbero proseguire a oltranza, soprattutto se si pone l’accento sull’ ormai assodata fobia di essere risucchiati dal mondo sintetico o mediatico, senza più possibilità di controllo sulla propria vita – un tema ricorrente, sotto diverse angolazioni, in tutto il cinema contemporaneo. Lo abbiamo visto non molto tempo fa in Surrogates (Jonathan Mostow, 2009) ma anche in Matrix (fratelli Wachowski, 1999), Avatar (James Cameron, 2009) e Blade Runner (Ridley Scott, 1982) – questi ultimi secondo coordinate ben più elaborate e specifiche. Il comune denominatore, è in sostanza, il gioco del burattinaio matto (che sia scienziato, ingegnere o altro, l’importante è che sia colpito dal morbo di megalomania di Frankenstein) che agita a sua discrezione i fili dei suoi pupazzi – uomini, macchine o alieni che immancabilmente si rivolteranno contro il creatore tiranno. In Gamer, il “master of puppets” è il guru informatico Ken Castle, un neo-Bill Gates miliardiario, interpretato dal protagonista del controverso telefilm Dexter, uno schizofrenico Michael C. Hall, che, dietro finanziamenti governativi, ha in progetto la creazione di un’umanità virtuale da potere comandare da remoto. Strumenti per ottenere questo risultato sono inizialmente un clone “vivente” di Second Life, “Society” e, successivamente, un format alla Call of Duty, dall’inequivocabile nome di “Slayers” (e cioè “assassini”), in cui ad uccidersi l’un l’altro sono, però, uomini in carne ossa e, precisamente, detenuti nel braccio della morte che hanno la possibilità di riscattarsi dalla condanna vincendo 30 partite di fila.
Il film è un tripudio di CGI e effetti ottenuti in fase di editing: immagini sature e contrastate oltremodo per simulare il mondo dei videogame; estremi close-up e sguardi in macchina con funzione puramente estetica; motion effects ed elementi di grafica pubblicitaria. Un’operazione commerciale come questa, che punta tutto sulla polarizzazione negativa e sull’estremizzazione macabra di un singolo aspetto della realtà odierna – di cui viene colta proprio l’estrema deriva – si era già vista in un film prodotto da Eva Mendes, Live! (Bill Guttentag, 2007), che aveva alimentato l’interesse mediatico senza poi ottenere consistenti risultati al botteghino. Del resto, una volta rivelato lo “scoop”, tutto rientra nella banalità più scontata.
Curiosità
Sottoposto a supervisione della MPAA (Motion Pictures Association of America), che tutela gli interessi degli studios, al film è stato assegnato un visto censura “R” (Resticted) per le sequenze di violenza brutale, linguaggio osceno, sesso e nudità.
A cura di Valentina Vantellini
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