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cultura dell'immagine e della parola

Intervista a Wu Ming 2

Cosa si prova passando dal gruppo al singolo? Ci sono grandi differenze di metodo per affrontare il lavoro?

fonte:www.wumingfoundation.com
Differenze non ne ho trovate molte. Forse non c’è bisogno di avere in testa un intero capitolo prima di scriverlo. Si può scoprire cosa succede cammin facendo, senza decidere prima ogni dettaglio, come avviene nella scrittura collettiva, dove i diversi passaggi devono essere chiari per tutti, quando si va a scrivere. Quanto alle sensazioni, spesso ho avuto nostalgia della penna degli altri, soprattutto quando faticavo su alcune parti del racconto che immaginavo potessero venire di getto a qualcun altro della band.

C’è molto di 54 in Guerra agli umani, colpisce soprattutto il fatto che siano sempre gli esclusi i protagonisti dei due racconti. È un po’ come se i conflitti che si vivono nei vostri racconti si giochino sempre ai limiti della storia e della società. È sempre valido il messaggio di Q e cioè che sono i personaggi di sfondo a tessere le fila della Storia?

Senza dubbio, anche se il messaggio di Q è appena più amaro: i personaggi di sfondo sono quelli che permettono ai grandi personaggi di occupare il centro della scena e di tirare le fila. La buona notizia è che nemmeno il più potente e astuto di questi tromboni può concepire un Piano perfetto, che tenga conto di tutto, che racchiuda la Storia in un pugno. Ai margini, nell’angolo più dimenticato, può sempre esserci qualcuno che fa saltare tutto con un piccolo gesto.

Mi sono impegnato per trovare le differenze di stile tra Guerra agli umani e i lavori precedenti per individuare le parti scritte da te, ma è praticamente impossibile. Come nasce lo stile nella vostra “bottega”?

E’ una specie di frullatore sempre acceso. I capitoli passano continuamente di mano in mano, per essere rivisti, corretti, integrati. Se li mettiamo da parte, è solo per farli decantare, e poi rileggerli alla luce di quanto succede dopo. E di nuovo limature, interventi, aggiunte. Tieni conto comunque che per noi lo stile è sempre subordinato alla storia. Lo stile serve a narrare meglio: elaborarne uno a priori non serve. Ditemi cosa devo raccontare e vi dirò come voglio raccontarlo.

Mi ha colpito molto la presenza del libro nel libro, il fatto di cercare di inserire la fantascienza all’interno di un romanzo realista. La commistione di generi è sempre stata uno dei vostri punti forti, la presenza della fantascienza rende a mio avviso tutto un po’ più difficile. Tu come ti sei trovato? Credi ritenterai quest’esperimento?

Credo che nel caso del finto romanzo fantascientifico di Emerson Krott, che compare in sette capitoli del romanzo ‘vero’, non si possa parlare di commistione di generi, ma di semplice accostamento. A ben guardare, la fantascienza non si mescola mai davvero con il corpus narrativo del testo. Per il resto, il tentativo era quello di ibridare romanzo ‘filosofico’ tipo Candide con crime novel in stile Elmore Leonard o Fargo, il tutto con un approccio ora realista, ora grottesco, ora leggermente surreale. Il che non è facile, perché non basta mescolare: occorre soprattutto dosare bene gli ingredienti.

Ho interpretato il tuo romanzo anche come una metafora di un certo attivismo “politico” dove Marco è un idealista, Gaia invece rappresenta una visione più pragmatica, gli ecoterroristi sono un gruppo di lotta violenta e i cacciatori rappresentano la borghesia. Ti ritrovi in questa lettura?

Wu Ming: logoMolto interessante, devo dire. Penso si tratti anche di una metafora di cosa può diventare la lotta, e quindi l’esistenza, in tempi disperati, quando il mito della Speranza vacilla e il futuro si presenta come minaccia, piuttosto che come promessa. Allora c’è chi si dà alla violenza e al terrore, chi resiste ad ogni costo (Gaia), chi cerca di chiamarsi fuori, senza che esista un fuori dove andare (Marco), chi la disperanza non può davvero permettersela (il clandestino Sidney), chi cerca buone idee imprenditoriali, calpestando qualunque diritto (Mahmeti), chi infine si aggrappa ai suoi piccoli privilegi e abitudini (i cacciatori).

Se si, nessuna di queste interpretazioni risulta vincente alla fine del romanzo. Pensi che la “civiltà troglodita”, cioè l’idealismo politico, potrà dare i suoi frutti? In cosa sbaglia Walden?

Certo, alla fine nessuno si salva davvero. Forse però l’idea di Walden come idealista è un po’ fuorviante. Walden pensa che il collasso del pianeta sia imminente, e il suo collasso come individuo ancora di più. Non c’è molto idealismo, in questo. Walden chiude i conti con la Speranza, e parte per la tangente. L’idea di fondare una nuova civiltà è poco più di una scusa per non passare da anarco-individualista. Il suo è l’estremo tentativo, di un individuo che s’è scoperto paria, di essere, comunque, disperatamente felice. Walden accantona la Speranza e punta tutto sull’Autonomia, sul qui ed ora, su scelte di vita che lo facciano stare bene adesso. Ma l’autonomia non è niente se non coinvolge altre persone. L’autonomia può essere una risposta, immediata e felice – per quanto non assoluta, parziale e imperfetta – in tempi disperati, dove non esiste un fuori dove ritirarsi che non sia destinato a trasformarsi nel fortino di un inutile, disastroso assedio. Può essere una risposta, perché come dice Bifo, l’autonomia non ha bisogno di sperare. Così Walden sbaglia, all’inizio, perché non capisce che bisogna salvarsi il culo il più collettivamente possibile. E sbaglia, alla fine, perché finisce col farsi assediare, dopo aver ripetuto mille volte che ‘nessun luogo vale un assedio’. Cade nella trappola perché non sa risolvere la contraddizione tra nomadismo – psichico e territoriale – e radicamento – che inteso in termini identitari è senz’altro da rifuggire, mentre in termini di lotta ha una sua importanza strategica: devo conoscere bene il territorio, se voglio condurre una battaglia efficace.
Questa contraddizione, però, non l’ho ancora risolta bene nemmeno io, ed ecco il motivo del finale aperto, spalancato. Non ho risposte da offrire, solo interrogativi.

L’unica cosa che mi lascia perplesso nel romanzo è il fatto che si sviluppano due storie (quella di Walden e quella degli ecoterroristi) che non si intrecciano mai. È un effetto voluto oppure è stato frutto “dell’evoluzione naturale” della vicenda?

Mi ero riproposto di non fare un romanzo in puro stile 54, con tutte le storie che si intrecciano grazie a casi fortuiti, colpi del destino, strane coincidenze. Volevo che alcune storie si intrecciassero e altre si influenzassero soltanto, ma rimanendo distanti. Se non ci fossero gli ecoterroristi, Marco non si ritroverebbe braccato, trasformato in Nemico Pubblico. Se gli ecoterroristi non dessero appuntamento a Marco, non scatterebbe il loro finale.

Ogni storia nasce dalla fusione di mille storie che l’anno preceduta, e il patrimonio culturale è patrimonio comune. Per questo Marco Walden vuole imparare i libri a memoria, per raccontarli. Il libro di Emerson Krott invece assume una valenza negativa quando capita in mani sbagliate. Con ciò vuoi sottolineare una superiorità della trasmissione orale rispetto a quella scritta?

Non proprio in maniera così netta. Certo è che la cultura orale era molto più vicina alla dimensione collettiva del narrare di quanto non lo sia la cultura scritta. La proprietà privata delle storie – vera e propria contraddizione in termini – sarebbe impensabile in una società che non conoscesse il racconto scritto.

Ora una domanda più impegnativa (o più stupida, dipende dalle interpretazioni). Te la senti di dare un consiglio a quei giovani che come Marco Walden, dopo anni di studio, si trovano imbottigliati nella trappola del lavoro precario?

Beh, mi chiedi troppo…Credo ci siano due possibilità, disperate ma felici. Se uno ha davvero una passione, deve seguirla con estrema determinazione, senza velleità, ma anche senza tarparsi le ali fin da principio. La passione vera, pura, può fare molto, se riesce a non farsi distrarre dai mille lavori del cazzo che uno deve fare nel frattempo. Se uno invece non trova dentro di sé tutto questo, allora dimentichi i discorsi sul realizzarsi attraverso il lavoro e le sanzioni sociali che deve sorbirsi chi non può dire di avere un lavoro che lo soddisfa. Tanto lo stipendio, è da fame comunque. Almeno avrà il ‘vantaggio’ di cambiare spesso…

• Vai alla recensione di Guerra agli umani.
• Vai all’approfondimento su Q (Luther BLisset) e 54 (Wu Ming)

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