Ragazze interrotte
Jennifer’s Body, dal titolo di una canzone delle Hole del 1994, ha tutte le carte in regola per poter diventare il cult movie della nuova generazione e un film revival per la vecchia, impregnato com’è di contaminazioni ben rielaborate da Stephen King (Carrie nell’adattamento di Brian De Palma, 1976, Stand by Me in quello di Rob Reiner, 1986), David Lynch (i boschi di I segreti di Twin Peaks, 1990) e altri miti di una ventina o trentina di anni fa (Schegge di follia di Michael Lehmann, 1989 e L’esorcista di William Friedkin, 1973). Strano a dirsi, ma finora il film non è stato ripagato né dai critici, né dal botteghino americano, forse perché se ne è parlato troppo (con una promozione partita quindici mesi prima dell’uscita nelle sale), col risultato che il tempo e le aspettative ne hanno diluito la carica intrinseca. Certo si può dire che la ex lapdancer Diablo Cody, al secolo Brook Busey, sia riuscita nell’intento di creare un altro script piccante e alternativo. La spinta produttiva di Jason Reitman, regista di Juno (2007) e la felice collaborazione con Karyn Kusama, con un casting azzeccatissimo hanno fatto il resto.
La costruzione della trama segue gli schemi classici del teen movie: nella forma (il voice over e il flash back); nell’ambientazione (la high school della provincia americana); nella tipizzazione di luoghi, personaggi ed eventi. Il tutto, naturalmente, declinato in versione horror-splatter, con punte di comicità ben studiate che non scadono mai nel ridicolo. Il coinvolgimento è assicurato in ogni situazione e il dialogo, anche se spesso stereotipato, convince e gioca un ruolo importante nella storia. Eppure il soggetto è così banale e, al tempo stesso, improbabile che se solo fosse stato elaborato da altri sceneggiatori o registi, con un cast diverso e altre atmosfere, sarebbe sicuramente risultato in un b-movie senza capo né coda, tanto scontato, quanto grottesco. E il rischio che lo possa essere, dopo il primo quarto d’ora di film, può sussistere, se lo spettatore parte prevenuto ma Diablo Cody, originale, schietta e competente, è indubbiamente abile a manipolare il mezzo cinematografico in base ai gusti e alle esigenze del pubblico. Gli argomenti toccati nella pellicola sono attualissimi: la rock band in cerca del successo facile, il potere dei mezzi di comunicazione in toto e il labile confine tra il bene e il male. Tutti gli elementi tipici della condizione adolescenziale sono poi esaminati senza compromessi. Specialmente quelli inerenti all’universo femminile (fateci caso, non c’è nessuna presenza paterna nelle famiglie dei protagonisti). L’eroe e l’antagonista sono donne, l’uomo è sempre e comunque la vittima.
La gamma degli episodi rappresentati non si ferma mai alla brutalità dell’assassinio, propria dell’horror, ma sfonda la porta segreta dell’amicizia femminile, fino a sfociare nella scena lesbo tra Amanda Seyfried e Megan Fox. La funzione primaria di tale scena, usata tra l’altro come scoop per la promozione del film, non è, però, quella di scandalizzare lo spettatore: è, invece, quella di indicare un turning point nell’evoluzione della storia. È l’esito prevedibile (e pay off) di un profondo rapporto di amicizia, che sfocia nel rischio di una simbiosi “totale”, invalidata dallo scatto sdegnato, seppur tardivo, della protagonista Needy, che riesce a sottrarsi alla pulsione e a ribellarsi a quello che è, in realtà, un atto di sottomissione inconscia. L’analisi del film potrebbe protrarsi all’infinito, tanto è pregno di significati questo piccolo prodotto indipendente snobbato da certa critica. Ci basti citare l’abbondanza di metafore visive, allegorie, correlativi oggettivi e tòpoi dalla cinematografia sulle possessioni demoniache. Pensiamo al colore dei capelli di Jennifer e di Needy: corvino per la prima, segno del male, biondo per la seconda, angelo vendicatore. In fondo le due ragazze sono la stessa persona alla disperata ricerca di un equilibrio tra pulsioni opposte, in quella rivoluzione di ormoni che è l’adolescenza. Verrebbe da dire che, in fin dei conti, Jennifer’s Body sia soltanto un’altra storia di formazione, al femminile. Se sia verso la dannazione o la resurrezione a nuova vita, lo deciderà lo spettatore. Che uscirà dalla sala canticchiando il ritornello di una canzone tanto bella, quanto maledetta.
Curiosità
Il film ha ispirato una graphic novel omonima che illustra e moltiplica gli assassinii di Jennifer, amplificandone la portata con la descrizione particolareggiata della vita e della personalità delle vittime – fatto che spinge il lettore a schierarsi pro o contro la loro esecuzione.
A cura di Valentina Vantellini
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