Nel regno del mancato stupore
Una calda luce crepuscolare, tra le fronde selvagge in cui si rincorrono un bambino ed un bizzarro ma tenero mostro. La versione unplugged di Wake Up del gruppo canadese Arcade Fire. Un nome per tutti, attesissimo e di straculto tra le nuove generazioni di cinefili, Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee): il trailer di Nel paese delle creature selvagge si presentava come il manifesto della cultura indie, sia audio-visiva che musicale, suscitando attese spasmodiche confermate dalla prima settimana di ottimi incassi negli Usa.
Il film è in effetti un esperimento ai confini dei generi cinematografici: impossibile farlo rientrare all’interno della categoria cinema per bambini o per ragazzi, di sicuro destinato a un pubblico più adulto sebbene interpretato quasi esclusivamente da un bambino e da creature di fantasia dai volti lignei. A chi è rivolta questa non-favola ispirata alla fiaba illustrata dell’antidisneyano Maurice Sendak? Impossibile definirlo, semplicemente agli adulti rimasti un po’ bambini, ma neanche troppo. Perché il mondo di fantasia creato dal piccolo Max, reso pestifero dal suo senso di solitudine e inadeguatezza rispetto ai legami familiari, è uno specchio fin troppo verosimigliante del mondo reale, le dinamiche sociali che si verificano tra gli enormi esseri dei boschi sono in tutto e per tutto uguali a quelle tra gli esseri umani, il che costringe Max a imparare la lezione e a “tornare a casa”. La maestria di Jonze nell’animare l’impossibile, nel creare mondi di fantasia tanto naif quanto credibili di certo non delude le aspettative: l’uomo dalla testa di cane protagonista del video dei Daft Punk Da Funk, i ballerini ricoperti di cartone di It’s oh so Quiet di Bjork sono in ovvia parentela con i bestioni antropomorfi del film. La verità possibile del mondo fantastico è sì interessante, ma nel complesso il film non entusiasma né fa volare con la fantasia. La ricercatezza di uno stile così raffinato, supportato da sonorità indie-rock senza dubbio dolci e suadenti, congela il film da ogni eventuale trasporto emotivo. L’ibridazione tra generi cinematografici, in quanto operazione cerebrale, ottiene quasi sempre un effetto di straniamento e di alienità rispetto a ciò che si guarda.
Sarà forse per questo che non si riesce in alcun modo a provare tenerezza o stupore di fronte alle avventure di un Piccolo Principe vestito da gatto. L’umanità dei mostri in pelliccia e cartapesta diventa troppo presto più un incubo che un sogno, facendo del film un’occasione mancata per il ritorno di un regista che ha invece in passato divertito e appassionato il pubblico, riuscendo a districarsi visivamente tra gli intrecci psicanalitici dello sceneggiatore più cervellotico di tutta Hollywood, Charlie Kaufman.
Curiosità
Il film è tratto dalla fiaba illustrata Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak (ed. Babalibri); la riscrittura di Dave Eggers è invece edita da Mondadori. Tra i produttori per la Warner Bros Pictures c’è anche l’attore Tom Hanks. La voce di Carol è in originale quella di James Gandolfini, nella versione italiana di Pierfrancesco Favino.
A cura di Daniela Scotto
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