Capelli nero corvino e disturbi di personalità
Sarà riduttivo ma, dopo la Samara di The Ring (Gore Verbinski, 2002) e i fantasmi di The Grudge (Takashi Shimizu, 2004) il cliché dell’associazione “chiome color corvino – maligno” ha un po’ stancato. E se i due remake hanno origini nipponiche, qui l’orfana Esther è di nazionalità russa, come a significare ancora l’alterità nemica e l’inconciliabilità dell’est con l’ovest. Il mistero e l’ambiguità che la bambina reca con sé nella solitaria villa e l’isolamento psicologico in cui viene relegata la madre adottiva ricordano, dal canto loro, le atmosfere vissute nel thriller a sfondo paranormale di Robert Zemeckis Le verità nascoste (2000, la lotta sott’acqua finale ne è un chiaro richiamo visivo).
Detto questo, Orphan – di cui tutto si può dire, tranne che sia un film horror – ha una linea narrativa impeccabile, lineare, attenta alla psicologia dei personaggi e che si esaurisce in sé stessa, senza lasciare porte aperte e misteri irrisolti. Le interpretazioni degli attori sono naturali e spontanee e ci si stupisce della bravura dei giovani interpreti, specialmente di quella della piccola della famiglia, Max, mentre Vera Farmiga, già vista in The Departed (Martin Scorsese, 2006), dona, ancora una volta, quel tocco di familiarità e realismo quotidiano all’intera vicenda, scene di sesso incluse. Nella pellicola il conflitto si manifesta su più piani: nel contrasto tra l’istinto di maternità tipico della donna contrapposto alla sua demistificazione da parte dell’uomo; nel rapporto altalenante tra moglie e marito; nella gelosia che si insinua tra figli naturali e figli adottivi; nel contrapporsi di una malsana diversità ad una genuina capacità di adattamento e di “conformismo” infantile. E il dubbio si insinua nello spettatore, che non sa più se credere alla moglie o al marito, quando in fondo, poi, si rende conto della sincerità di entrambi, perché originata da due diversi punti di vista. E il dubbio è anche quello che lo coglie quando vede i due figli cospirare involontariamente ai danni della madre, sempre più sola e ancorata alle sue convinzioni. Le ambientazioni appagano l’occhio – specie gli interni/esterni dell’abitazione dei Coleman, moderna, funzionale e calda. Una casa dal design raffinato che crea distacco e che può ispirare in certo pubblico fantasie di grandezza. La tensione c’è, ma deriva più dall’empatia che il regista crea tra protagonisti e audience che dall’incalzare del ritmo e dalla concreta situazione di pericolo. Qualche suono sinistro e molte inquadrature di spalle avrebbero potuto essere facilmente evitate, perché non motivate da alcun colpo di scena.
In definitiva, Orphan – il cui soggetto, secondo le proteste di alcune associazioni, istigherebbe a scoraggiare le adozioni – è un thriller piacevole e ben congegnato, che non brilla per originalità, ma dà tutte le risposte che lo spettatore esige. Soprattutto, lo coinvolge e lo soddisfa per il suo sostanziale ancoraggio alla realtà: nulla è lasciato al caso, tutto ha una spiegazione logica. Persino il finale a sorpresa.
Curiosità
Jaume Collet-Serra è il regista de La maschera di cera, remake di un film degli anni Cinquanta con Vincent Price, che a sua volta traeva spunto da un lungometraggio del 1933 di Michael Curtiz.
A cura di Valentina Vantellini
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