Il sole dopo il tunnel
Dopo quarant’anni di lavoro, Odd Horten è costretto ad andare in pensione. Lui, metodico, preciso, puntuale macchinista attento al dettaglio, da sempre protagonista di una visione del tutto privilegiata in capo al treno, ora è costretto ad abbandonare la scena. Ma togliersi i panni da macchinista non è cosa facile, soprattutto quando Horten si accorge che la sua vita sta uscendo da quei binari che credeva così sicuri, eterni, indistruttibili. E così, quando gli amici gli organizzano una festa, lui rimane fuori e finisce nella cameretta di un bambino che, in pratica, lo tiene ostaggio per una notte. Poi, Odd, va a fare visita alla madre malata, che però non lo riconosce più, cerca un amico all’aeroporto ma si perde, prova a vendere la sua barca, ma non ne è affatto convinto. La sua nuova vita lo rende insicuro, spaesato, completamente scoordinato rispetto a quello che era in passato, finché l’incontro speciale e assurdo con un uomo, tanto vitale quanto ubriaco, lo aiuterà a guardare la vita da un altro punto di vista.
Bent Hamer, norvegese, regista, sceneggiatore e produttore, giunto al suo quinto lungometraggio, prima di Factotum (id., 2005) e Kitchen stories (id., 2003), unici suoi film distribuiti in Italia, aveva realizzato pure Water Easy Reach (En dag til i solen, 1998) ed Eggs (id., 1998), accantona il mondo di Bukowski e sembra attingere da quel bacino tanto assurdo e surreale che aveva caratterizzato il gioiello Kitchen stories, e racconta l’amara solitudine di un uomo anziano che interrompe la sua vita fatta di routine e che riscopre il gusto e il sapore dell’improvvisazione, messo sotto il tappetto come si fa con la polvere.
Il mondo di Horten è un film tenero, che possiede una potenza cinematografica assoluta. A partire dalla gestione corporea di Odd (interpretato dall’attore Baard Owe, con gli occhi sempre lucidi e lo sguardo malinconico e stanco) che segue, passo dopo passo, lo sviluppo del film: Odd è al centro dell’inquadratura fino al giorno della pensione e il corpo segue coerentemente la sua condizione di beatitudine; dalla pensione in poi, cioè dal giorno del deragliamento umorale, Odd si trova più defilato, spostato, insieme a qualche altro personaggio che si intromette o si introduce nella sua vita. Anche nei momenti di profonda e peggiore desolazione, quando si rende conto che gli manca la terra sotto i piedi, che non ha più un ruolo, degli orari di partenza o di arrivo, quando sente che gli mancano tutte le sue sicurezze, Odd vaga dentro i luoghi come uno spettatore (senza sapere di essere guardato da uno spettatore che, come lui, sta cercando sicurezze). Ma come insegnava la filosofia della locomotiva, alla fine di una galleria c’è sempre luce. E così, infatti, Odd, in una notte buia e fredda, scopre la luce. Anche in questo passaggio cruciale, che vede il protagonista uscire dal buio della solitudine per avvicinarsi alla luce di una nuova consapevolezza, Bent Hamer è capace di creare un cinema semplice ma in un certo modo impegnato, fatto di poesia, rimandi significativi, divertimento e commozione assurda. La sua è un’operazione che procede prima per sottrazione, fino all’incontro con il vecchio Trygve, destabilizzante per come avviene considerati i tacchi rossi che Horten indossa e le pessime condizioni in cui Trygve si trova, poi per addizione, sommando tutti quegli elementi che trasformano la vita del gentile e stanco Odd in un uomo dalle nuove risorse, in grado di avvicinarsi un po’ di più alla donna con la quale, da una vita, condivide i piccoli racconti quotidiani. Cambiano le prospettive di Horten e pure quelle dello spettatore, i binari sono solo quelli del paio di sci che Odd indossa di notte, il treno è solo quello su cui sale per viaggiare, finalmente e per la prima volta con qualcuno. Perché fino al giorno della pensione, Horten si muoveva, ma stava sempre fermo nello stesso posto. Invece ora ha pure un cane.
Curiosità
Ben Hamer è proprietario della società di produzione Bulbul Film (fondata nel 1994). Si è laureato in letteratura e storia del cinema all’università Filmskola di Stoccolma. Pare che in gioventù abbia navigato a lungo tra Stromboli e le Eolie. L’attore Bård Owe si è trasferito in Danimarca dopo gli studi presso la Statens Teaterskole di Oslo (1955-56) e ha continuato la sua formazione come attore al Teater Ålborg. Dal 1958 ha lavorato in teatro, TV, radio e cinema. Ha lavorato pure con Lars von Trier in The Kingdom.
A cura di Matteo Mazza
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