E la giostra va… L’arte di (far) ridere ai tempi del comunismo
Se c’è una cosa che i regimi, di qualunque epoca e colore siano, non possono eliminare (al massimo drenare, negare, photoshoppare) quella è la memoria collettiva. Ovvero: i ricordi, il modo in cui si è vissuta un’epoca, i racconti tramandati dal passaparola – leggero e sempre sfuggente alle maglie della censura – che finiscono per trasfigurare in miti o leggende: e così anche sulle vicende più dolorose o sulle pagine più sbiadite dei libri di storia, a distanza di anni ci si può anche ridere su, ricordando come eravamo, quanto sembravamo miseri o, forse, solo semplicemente ingenui. Partendo da questo presupposto, Cristian Mungiu torna a parlare della Romania del trentennio di Ceauşescu (l’aveva fatto trattando il tema dell’aborto in 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni) ma questa volta con un tono più lieve: definito solo il canovaccio, lascia ampia libertà espressiva e di montaggio ai quattro registi, cui affida la direzione di ciascuno degli episodi di cui è composto questo film-contenitore che, meno intimista e riflessivo della pellicola vincitrice della Palma d’Oro a Cannes, ricorda tanto la commedia popolare italiana ad episodi. Come recita il trailer, “i protagonisti lottano per sopravvivere alla dittatura con amore ed allegria”. Ed è proprio la sottile ironia che permea tutte e quattro le leggende metropolitane che Mungiu decide di portare in scena a fare da contraltare alla squallida e paradossale realtà rappresentata («Manca la frutta sugli alberi» – «E allora mettetecela!»). Leggende che però i veri protagonisti (contadini, funzionari di partito, ufficiali zelanti e immancabili sottoposti) considerano alla stregua di storie vere, che all’epoca si bisbigliavano all’orecchio del tizio che era in coda con noi a fare la fila per acquistare un po’ di cibo o razionare il gas. Non per morir dal ridere, ma riderne per non morire.
Lo sceneggiatore, all’epoca ventenne, si affida a chi quel periodo l’ha vissuto e rievoca così, ad uso dei più giovani, un periodo in cui di aureo v’era forse solo la superficie; anzi: neppure quella. Fa da collante, tra un ‘quadretto’ e l’altro, l’immagine-ricorrente della scala di un condominio che, ad ogni pianerottolo, ha la sua storia da raccontare. Così accade che due fotografi debbano ritoccare l’immagine del compagno Ceauşescu, che sfigura per la sua statura e sembra mostrare deferenza rispetto al ‘capitalista’ Giscard D’Estaing; che un trasportatore aviario si ribelli al triste ménage familiare e lavorativo disattendendo le consegne; che un poliziotto arrivi ad asfissiare col gas un maiale, facendo saltare in aria la propria casa, per tenere tutta per sé la preziosissima carne; o ancora che una visita ufficiale mostri le conseguenze di seguire alla lettera anche le indicazioni di partito più assurde. Mai si ride a crepapelle e mai si cerca forzatamente il riso. Al contrario: ogni episodio porta in dote il suo ‘tono’ e così la vicenda del camionista è amara e lascia in filigrana il tema amoroso, mentre quella del maiale è la più comica. Il lirismo è, a sorpresa, consegnato invece all’episodio iniziale, quello della visita dei rappresentanti del regime: dopo le goffe acrobazie e gli alacri preparativi si scopre che la visita è annullata e uno dei funzionari, sollevato, intima a sindaco e paesani: «Tutti sulla giostra!». Solo che nessuno rimane giù per spegnerla e così, girando senza più fermarsi, il ‘democratico’ carosello realizza l’effimera uguaglianza e li mette in fila, l’uno accanto all’altro, senza dire chi sta davanti e chi dietro nella gerarchia della vita: il poliziotto tonto, il sindaco zerbino, i funzionari scrocconi e il giostraio disincantato… Tutti però intimamente distesi, librandosi quasi nell’aria al calar del sole, dalla défaillance del potere.
Il surreale dunque va a braccetto col grottesco, la (involontaria: è questa la forza della messa in scena!) comicità con l’amara malinconia e una disperazione che oggi possiamo solo percepire: al regime comunista non si fa mai diretto riferimento, se non nelle immagini di un Congresso festante che scorrono sui titoli di coda. Eppure si può raccontare il ‘vero’ anche senza mostrare l’algida e grigia realtà del potere, filtrandolo attraverso i pettegolezzi e il passaparola. La fantasia deve superare la realtà, per poterla dire: ma dietro i volti tristi e cupi di queste marionette senza fili si nasconde il riso e anche questa è una forma di ribellione, più sotterranea, ma che lentamente erode lo status quo. D’altronde, come disse qualcuno, “una risata vi seppellirà”. Attuale.
Curiosità
Racconti dell’età dell’oro rientra in un progetto avviato da Mungiu con 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni che intende raccontare in maniera originale i decenni del tragicomico ma tristemente sanguinario regime romeno di colui che osò definirsi “il Genio dei Carpazi”.
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