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Il capolavoro mancato di Tornatore

Il capolavoro mancato di Tornatore

Raramente un film riesce a mettere d’accordo tutta la critica nazionale, pronunciatasi quasi unanimemente di fronte al kolossal Baarìa di Giuseppe Tornatore, definendolo un capolavoro mancato, un affresco oleografico e divertente ma purtroppo non indelebile nelle memoria dello spettatore. Il film d’apertura della 66° Mostra del Cinema di Venezia, per il quale la Medusa ha sborsato circa venticinque milioni di euro, è stato innanzitutto oggetto di un equivoco che incombe sulle agguerrite platee festivaliere, troppo spesso politicizzate e sempre meno puramente cinefile: è questo il film con cui il premier Berlusconi recupera una vetrina da mecenate delle arti, dopo aver decurtato i fondi allo spettacolo? Può un film prodotto da un presidente di destra raccontare l’illusione e la disillusione comunista con incisività? Di queste e di altre inutili questioni si è discusso, mentre è utile piuttosto analizzare il colpo mancato del regista più europeo della cinematografia nostrana che, almeno per la critica, cerca l’Oscar ma difficilmente lo potrà trovare (al pubblico e agli incassi, ahimè, la sentenza definitiva su un preannunciato successo).

La Sicilia di Tornatore è quella che abbiamo amato e respirato a partire da Nuovo Cinema Paradiso (1988), nella passione un po’ perversa de L’uomo delle stelle (1995), nell’erotismo “dop” di Malena (2000). I bozzetti e le stenografie di una terra eternamente sospesa in se stessa raggiungono più volte l’altissimo livello registico che possiamo aspettarci da un maestro del suo calibro, come nell’ampio respiro della sequenza in cui i contadini occupano le terre altrimenti appannaggio della mafia. In altri casi si ottiene l’onirismo che ha provocato il paragone con Fellini, purtroppo in soluzioni veramente poco originali, come nelle metafore delle uova distrutte e delle vipere nere o nell’immagine del piccolo Ciccio che si solleva in volo durante una corsa forsennata. La ricchezza visiva, supportata da una colonna sonora non memorabile, è sì ostentata ma al punto giusto, sdrammatizzata da uno spirito leggero che fa di un kolossal una vera e propria commedia, straripante di graziosi e divertenti personaggi-tipo (il venditore di dollari Beppe Fiorello, il derisorio cantante napoletano Salemme, il giornalista Bova, la madre orgogliosa Sastri, e ancora Ficarra & Picone, Frassica, Gullotta), tale da essere godibile dal primo all’ultimo dei suoi 150 minuti. Anche le autocitazioni sono ben accolte, come il cameo della Bellucci e la sequenza dello scambio di pezzetti di pellicola tra i banchi di scuola.

Ma troppa leggerezza rende il racconto, in fin dei conti, sfuggente: l’amore tra i protagonisti esplode tra mille avversità ma poi si stabilizza senza passioni, l’ascesa politica “sembra” combattuta ma non viene esplorata, il rapporto padre-figlio risulterebbe complesso, ma si passa oltre. Tornatore ha inanellato i luoghi e i personaggi protagonisti di un proprio mondo, sfiorando l’universalità e trovando, piuttosto, soltanto se stesso. Un sé che cinematograficamente è sempre interessante e appassionante, ma con poca storia.

Curiosità
Le ambientazioni siciliane sono state riprodotte da Maurizio Sabatini in Tunisia. Il cast completo è di 45 attori, tra cui anche il comico Aldo Baglio del trio Aldo, Giovanni & Giacomo.

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