Tra Totoro e il Gattobus, un mondo di realtà e meraviglie
Ci sono due bambine (Mei, quattro anni, e Satsuki, qualcuno di più, forse undici) che si sono appena trasferite in una nuova casa molto grande, che vivono con il loro papà e che aspettano impazienti il ritorno a casa dall’ospedale della mamma malata. C’è un bosco, che ricorda tanto un giardino segreto, ma anche un posto di fiabe, che sembra uno dei luoghi calpestati dall’Alice di Carroll, con tanto di creature fantastiche e un gatto strampalato (che qui è un Gattobus). C’è un Totoro, una specie di spirito della natura, che sebbene sia nel titolo di questo film-gioiello (che ha dato il via definitivo ai successi dello Studio Ghibli, dopo una fortuna precaria e altalenante nonostante Nausicaa della Valle del Vento – Kaze no tani no Naushika, 1984 – film rivelazione e Laputa: castello nel cielo – Tenkū no shiro Laputa, 1986 – poco apprezzato dai botteghini e dalla critica), e sebbene risulti fondamentale ai fini della vicenda, non è un protagonista, ma in realtà lo è a tutti gli effetti. C’è poi una sintesi perfetta di realtà e finzione, perché per realizzare Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro, 1989) Hayao Miyazaki ha preso spunto dalla sua vita, rielaborando ricordi, immagini, emozioni e soprattutto ricostruendo quel Giappone degli anni Sessanta in cui lui stesso era cresciuto, in cui sua madre soffriva di tubercolosi (forse, proprio come la mamma di Mei e Sutsuki).
Totoro è un film tenero che può emozionare grandi e piccoli grazie alla sua capacità di fondere le componenti magiche e surreali, tipiche dell’animazione di Miyazaki, alle componenti più vere, più reali, quelle che spingono poi lo spettatore, senza eccessi di retorica e senza elementi patetici, a commuoversi (curioso notare come lo Studio Ghibli, nello stesso anno di Totoro, abbia prodotto l’ipperrealistico, crudele e tragico Una tomba per le lucciole – Hotaru no haka, di Isao Takahata, co-fondatore dello Studio Ghibli, primo e unico esempio di uscita contemporanea di due film dello Studio). Totoro si distingue quindi per l’originalità della storia (è come un romanzo di formazione un po’ mistico, infatti le due protagoniste, costruite in antitesi – una sembra essere esempio di razionalità e praticità, l’altra, all’opposto, sembra essere esempio di istintività – sono proiettate in un universo di emozioni del tutto nuove e inaspettate: dalla scoperta di un mondo fantastico, passando per la scoperta della sofferenza e la considerazione di una possibile morte), per l’accuratezza del disegno (che alterna la cura dei dettagli alle invenzioni più strane e divertenti, come i ma-kuro kurosuke, gli esserini di fuliggine che rappresentano la prima presenza magica del film) e per l’armonico insieme di poesia, umorismo e riflessione storica e sociale (in questa direzione è straordinariamente spettacolare la sequenza dell’attesa dell’autobus, sotto la pioggia, con Totoro che si ripara con un ombrello offertogli dalle due sorelle).
È un film sulla crescita dello spirito di Mei e Satsuki, che devono fare i conti con una realtà scomoda ma pure con un mondo fantastico fatto di mille sorprese; un film che si serve dell’attesa, intesa come luogo concreto e vivo, per raccontare la maturazione delle bambine e il gusto delle loro scoperte, che rende il gioco all’aria aperta un momento di libertà e il sogno, un’evasione straordinaria, un’esperienza unica. Come i film di Miyazaki, sorprese per gli occhi e per il cuore, per nulla furbi e molto godibili.
Curiosità
Il personaggio di Totoro pare sia frutto dell’immaginazione di Miyazaki, perché non esiste nel pantheon shintoista nessuno spirito con questo nome. Totoro potrebbe essere stato creato dalla sintesi di alcuni animali: un procione (il tanuki, creatura fantastica nei racconti giapponesi presente in numerosi “oggetti pop” tra videogame e manga, da Super Mario Bros ai Pokemon, da Naruto a Dragon Ball GT), un gufo (di cui Totoro conserva il piumaggio con quei strani disegni sul petto), un gatto (per i lunghi baffi e per la forma del muso). I panda protagonisti del cortometraggio (inedito in Italia) Panda Kopanda di Isao Takahata del 1972, disegnato e sceneggiato da Miyazaki, sono considerati i precursori di Totoro, così come i capelli rossi della protagonista Mimiko lo sono per la piccola Mei.
A cura di Matteo Mazza
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