Le ombre rosse nella riserva di Maselli
Un fantasma si aggira per le sale cinematografiche italiane: è il nuovo film del quasi ottantanovenne regista romano Citto Maselli, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia. Dimenticatevi però lo stile neorealista di alcuni suoi film come Lettera aperta a un giornale della sera o Il sospetto: ne Le ombre rosse rimane sì l’impegno ideologico e politico di Maselli, ma senza più declinazioni sull’analisi del reale. In questo film l’occhio di Maselli sembra invece poggiarsi su uno sguardo irrazionale rivolto dentro di sé, a metà strada fra storia e fantapolitica.
Ma la tesi che anima l’intero film, quella del finto-movimentismo di una sinistra salottiera che tradisce il movimento stesso e apre così il varco alla vittoria della destra (il film è ambientato durante l’ultimo governo Prodi) non convince per alcuni motivi. Innanzitutto c’è la costante percezione che il regista si muova dentro una micro polemica personale, ben circoscritta. Questo emerge in modo evidente, non tanto nel suo tentativo di raccontare la crisi della sinistra con una (seppur colpevole) lettura personale, ma scegliendo di farlo attraverso una sceneggiatura che appare fin da subito come un facile pretesto piuttosto che una sottile metafora. Questa forzatura ci è suggerita, per esempio, dall’idealizzazione, quasi grottesca, di alcune situazioni che Maselli vorrebbe simbolicamente rappresentare (il centro sociale, scevro di spinelli ma dove fanno capolino suore rivoluzionare e belle ragazze succinte, appare di un disincanto decisamente favolesco). Di contro invece fa sorridere, più che scandalizzare, il rimando quasi caricaturale di alcuni personaggi del film ad alcune vere persone (si possono riconoscere fra gli altri l’architetto Massimiliano Fuksas). L’incomunicabilità fra isola utopica e realtà stereotipata, fra sinistra ideale e gauché dell’industria culturale, indebolisce la forza di analisi (e di denuncia) con la quale si vorrebbe elevare il film. Non solo non si scorge la materialità dello scontro ma nemmeno una dialettica necessaria per essere coinvolti in un processo di crisi. Il tutto si consuma nella personale riserva indiana di Maselli, in una scaramuccia intellettuale, in un modo totalmente preconfezionato e prevedibile, fino ad un finale a dir poco artificioso. Con questa logica evocativa il film si svuota di “sostanza cinematografica” (dialoghi e strutture narrative) e anche il cast sembra sacrificato nello stile registico di Maselli: lo stesso Roberto Herlitzka appare a tratti fuori ruolo, impacciato e poco convincente.
In definitiva, e già a metà della pellicola ce ne accorgeremo, un buon film sulla crisi della sinistra italiana, tema ambizioso e difficile, rimane ancora da essere scritto. L’unica metafora accettabile della crisi della sinistra che esce da Le ombre rosse, buone intenzioni a parte, è di fatto il film stesso. Un fantasma, ombra di una storia, che non riesce più nemmeno raccontarsi.
Curiosità
Il film originariamente avrebbe dovuto intitolarsi Il fuoco e la cenere.
A cura di Daniele Lombardi
in sala ::