L’intruglio di sacro e profano
Con l’episodio del Principe Mezzosangue, alle porte dello scontro finale, sembra stiano per giungere alla resa dei conti non solo le forze opposte della storia (Voldermort sta per arrivare a Harry), ma anche i due registri emotivi (e simbolici) su cui questa si regge saldamente, e che la saga cinematografica si è trovata a dover cucire in una zona di frontiera sempre più complicata.
È infatti evidente come di fronte alla crescita della tensione (che la produzione ha da tempo scelto di rendere nei toni e nei ritmi dell’horror), anche la serenità della sfera degli affetti (la salda amicizia del trio, i rapporti paterni con professori e parenti, e, soprattutto ora, l’innamoramento…), essendo il vero punto di forza di Harry contro il suo nemico, giunga qui a pretendere uno spazio pari almeno a quello degli aspetti drammatici, fino ad ora privilegiati in quella strettoia dove la trama viene triturata e semplificata.
Se inizialmente le scene amorose o di festa potevano essere ridotte a intermezzi di leggerezza nella suspence del racconto, con l’importanza simbolica che già dal precedente episodio queste arrivano ad assumere nella lotta stessa al male, la larga fetta narrativa che adesso richiedono costringono il regista ad espedienti ad un primo impatto quasi disperati.
Quando due registri, adottati per alternarsi l’uno all’altro, finiscono per mescolarsi nella sceneggiatura (nel bel mezzo di una missione, Silente chiede a Harry delle sue conquiste amorose); o nella medesima inquadratura (mentre in primo piano tra Ron ed Hermione si chiarisce il reciproco innamoramento, sullo sfondo assistono come spettatori fuori luogo i professori, Piton compreso!); o ancora nel piano sequenza (la carrellata che accompagna la passeggiata di confidenze adolescenziali tra Harry ed Hermione si incrocia nel chiostro con l’accasciato Malfoy, tormentato dall’alleanza con le forze oscure), quando cioè eroismo e adolescenza finiscono per sovrapporsi senza apparente motivo, il rischio di una rappresentazione macchiettistica diventa molto più forte che in precedenza.
È come se David Yates, nella sfida di fondere le due dimensioni cui giunge a questo punto il romanzo, non sufficientemente trattate nel corso dei precedenti capitoli, piuttosto che eludere il problema avesse scelto di farle stridere tra loro come schegge di vetro, quasi a volerle riunire in un unico torrente a colpi di terremoti visivi e di sceneggiatura.
La scelta, obbligata, sembra però trovare un proprio senso anche sul piano della rappresentazione: la cifra del film è infatti quella di una inquietante penetrazione del male nelle zone che si consideravano le più protette e sicure (la scuola di Hogwarts e il suo faro, il preside), che Yates sceglie di rendere innanzitutto con numerose inquadrature “sporche”, simulando l’effetto di un occhio che spia di nascosto la scena.
Lo spaesamento ora non è più solo sul piano mentale (la precedente infiltrazione di Voldemort nella mente di Harry), ma fisico (i mangiamorte si stanno infatti infiltrando nel fortino del Bene): ecco perché lo spazio, ancora così simbolicamente strutturato nell’Ordine della Fenice (il ponte, il labirinto, la stanza delle necessità, ecc.), qui diventa più perturbato e contaminato.
La sensazione di uno spazio meno sicuro, e quindi più precario, meno uniforme, sembra così trovare un alleato in questi spiazzanti incroci tra spasimi adolescenziali e destino del mondo, indovinando un equilibrio sempre in bilico su un filo sospeso, tra la rappresentazione visiva e i messaggi espressi dal romanzo, e che ci traghetta al prossimo, complicato compromesso.
Curiosità
Il film, previsto inizialmente per novembre 2008, è stato poi spostato a luglio del 2009 dalla Warner Bros, sebbene la motivazione di voler sfruttare meglio gli incassi del noleggio (altri parlano della maggiore affluenza del pubblico estivo nel mercato americano) non sembra aver convinto la maggior parte dei fan, convinti che durante la pausa si sia cercato di rimediare alle critiche per i numerosi tagli della sceneggiatura a molte parti giudicate importanti nel romanzo.
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