Hunger: La dissoluzione di un uomo
(n.d.r. La recensione è datata 2009, quando il film fu proiettato nella rassegna Dispersi, tre anni prima che il film uscisse nelle sale italiane)
Il passaggio dalla videoarte al cinema può essere rischioso. Non è così immediato infatti fondere un’idea artistica in un prodotto commerciale da novanta minuti. Ne sa qualcosa ad esempio Chris Cunningham, che da anni cerca di realizzare il suo primo lungometraggio. Chi invece ci è riuscito è Steve McQueen, solo omonimo del protagonista di La grande fuga, uno dei più interessanti videoartisti contemporanei, invitato a rappresentare la Gran Bretagna alla Biennale 2009. Hunger è infatti il suo esordio alla regia ed è un film straordinario.
Racconta la storia di Bobby Sands, il martire dell’Ira già ricordato in altre due pellicole, Una scelta d’amore del 1996 e Il silenzio dell’allodola del 2005. Non lo fa però puntando come in quei casi sul sentimentale o sul surreale, ma utilizzando al loro meglio le due armi più importanti che il cinema può avere, l’immagine e la parola. Ci riesce con un grande rigore dividendo il film in tre momenti. Il primo, in cui viene inquadrata la situazione all’interno del carcere, è raccontato quasi unicamente con la forza delle immagini. Non servono parole, basta un disegno fatto con le proprie feci sul muro o l’inquadratura dello sguardo di un secondino. Il secondo, che definisce la posizione di Sands, cerca invece di eliminare l’elemento finzionale delle immagini, utilizzando un’inquadratura fissa per venticinque minuti che riprende il discorso tra il carcerato e un prete. Il terzo, che torna a eliminare il parlato per mostrare la dissoluzione di un uomo.
Ha evidentemente un impatto fortissimo un film come questo. Ma McQueen, che, ricordiamolo, è inglese, non ha voluto fare un biopic di Sands, elogiare o criticare un movimento come l’Ira e tutto quello che successe nell’Irlanda del Nord in quegli anni. Elimina ogni elemento politico o religioso. Anche nel lungo discorso con il prete, non si parla di chi abbia o meno ragione, ma si ragiona sulle idee, e su come portarle a compimento. Idee ben chiare deve averle avute anche Michael Fassbender, l’attore protagonista. Dimenticatevi il muscoloso Stelios che aveva interpretato in 300. Alla fine del film avrà realmente perso 25 kg, al termine di un’impresa estrema anche dal punto di vista attoriale. Impeccabile anche Liam Cunningham nel ruolo del prete, in un film nel quale sembra davvero difficile trovare un difetto.
Curiosità
Il film è stato presentato al Festival di Cannes, dove è stato accolto da una lunghissima standing ovation e ha vinto la Camera d’Or. Ha avuto poi riconoscimenti anche a Venezia (Premio Gucci), Toronto (Discovery Award) e in moltissimi altri festival. E’ stato anche presentato da Hideout nella rassegna I Dispersi 3, con i sottotitoli in italiano realizzati da ItalianSubs.
A cura di Alberto Brumana
in sala ::