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cultura dell'immagine e della parola

L’incontro con Marco Bellocchio allo spazio Oberdan

La critica che il film Buongiorno, notte ha ricevuto più di frequente è stata, come si è ripetuto fino alla noia, quella di essersi allontanato dalla realtà dei fatti, di aver tradito la Storia.

PROIEZIONE 1: la terrorista Chiara è in casa sola, segue in televisione la notizia del rapimento di Moro. Gioisce, i suoi colleghi hanno attuato il piano. Ma in quel momento bussa una donna che la obbliga a tenerle il bambino per pochi minuti. Il neonato viene appoggiato al divano come un bambolotto. Intanto, gli altri delle BR arrivano con la cassa in cui è racchiuso Moro: non riescono a farla entrare nel nascondiglio, la porta è troppo piccola. Suonano alla porta, Chiara ritorna in soggiorno, prende il bambino e lo consegna alla madre. Gli altri le chiedono: “Chi era?” Lei risponde: “Nessuno, solo un neonato.”

Già da subito si vede come il film rivendichi tutto il suo diritto di allontanarsi dalla storia, dato che è impensabile che una brigatista lasci entrare qualcuno nel luogo dove nasconde una persona rapita. Il montaggio tra l’evento reale (il rapimento) e la necessità irreale della poesia (il neonato) dà la possibilità al regista di parlare di una particolare percezione privata dei fatti: e questo punto di vista dà, paradossalmente, la capacità al cinema di presentare la realtà in modo più chiaro.

Marco Bellocchio: Lavorare a Buongiorno, notte, per me è stato un’esperienza entusiasmante e impegnata. Non mi sono mai posto il problema di istruire sulla storia, ma anzi, in questa sequenza l’infedeltà espressa è doppia: la prima alla sceneggiatura, nella quale il bambino veniva portato via prima dell’arrivo di Moro, la seconda alla realtà, proprio per l’assurdità dell’ingresso in scena di questo neonato.
Credo che questo tipo di libertà sia un elemento formativo: l’inverosimiglianza esprime l’apertura e la libertà che ogni uomo deve cercare, tanto più un artista. La base della formazione è questa possibilità di contraddire, per non devitalizzare e irrigidire la realtà.

Il miglior formatore è forse colui che propone il suo discorso e nel contempo scopre cose, fa formazione su se stesso. Il cinema di Marco Bellocchio riesce a formare lo sguardo, attraverso l’ascolto la curiosità e il dubbio, attraverso una costruzione dell’immagine molto moderna.

Marco Bellocchio: la storia non mi interessava quando ho scelto di fare questo film su commissione della RAI. Avevo delle immagini che mi interessavano, dei personaggi che volevo rappresentare. Invece mi sono scontrato con l’ottusità della sinistra, che mi ingabbia, che mi fa dire cose che io non voglio dire. Questa sinistra ha l’identità cadente e in crisi di una politica che ha mantenuto un’ottusità e rigidità contraria all’apertura che fa formazione.
Io vengo da questo tipo di formazione, nutrita dalle parrocchie e dalla propaganda, per esempio sovietica. Erano lavori cinematografici anche di alto livello, come quelle maoiste, ma è cinema di propaganda, sono immagini al servizio di una ideologia. Nel vuoto politico in cui viviamo ora è possibile sperimentare l’apertura mentale.
Per questo l’alternanza tra i fatti e la libertà creativa: la donna viene contraddetta subito nella sua gioia da un evento esterno, che è anche interno a se stessa. La storia raccontata rispetta una serie di fatti, come l’uccisione di Moro, ma l’inverosimiglianza della sua liberazione riguarda il 2003, il presente. La libertà vivacizza il passato, come raccontare al proprio figlio una fiaba nuova ogni volta.

Perché ho scelto i Pink Floyd? In realtà la mia formazione musicale è molto precedente, si è nutrita di Chiesa e lirica, loro non sapevo neanche che esistessero! Per fortuna la mia montatrice è anche la mia compagna: lei li conosce bene e me li ha consigliati. Non mi sono interessato ai testi della canzone, mi sembrava solo che quei pezzi rispondessero bene alla ribellione e alla disperazione che in quel momento Chiara provava. La musica dei Pink Floyd era più potente anche di una scena presente in sceneggiatura, che poi abbiamo tolto, del papa che si rivolgeva a Dio come bestemmiando, chiedendogli come avesse potuto lasciare che Moro morisse.

Molti elementi come il rito delle fedi che i Brigatisti si tolgono ogni volta che rientrano in casa, o come la cura prestata al canarino, fino alla sua fuga, lasciano intravedere una sorta di incomunicabilità tra il dentro e il fuori. Il mondo interno, nella casa dove risiedono i protagonisti, è immobile e dominata dalla logica politica e militare del corpo delle BR.

Marco Bellocchio: mi interessava rappresentare la dialettica e lo scontro, la non omogeneità all’interno del corpo delle BR. E questo attraverso il corpo di una donna che soffre e reagisce agli eventi. Le fedi messe e tolte rappresentano quella disciplina dell’essere diversi dal dentro al fuori. All’interno della casa quelle persone non sono più umane, il sesso è come una scarica, la masturbazione e solo una liberazione fisica che va ad annullare il corpo. Loro sono dissociati e inaffettivi, l’unico stato nel quale si sentono legittimati ad uccidere.
In questo senso, il mio sguardo è molto più libero di quello del ’78, quando, rispetto alle Brigate, la mia esperienza era di simpatia e ambiguità. Tante persone hanno brindato alla notizia dell’uccisione di Moro, ma queste persone adesso sono diverse, non dico pentite, ma diverse. Questo nel film ho rappresentato, un passato in cui il presente esiste come sentimento di fondo. Oggi il mio desiderio è voler rappresentare la libertà.

PROIEZIONE 2: Moretti e Aldo Moro dialogano di religione e comunismo. Moro sostiene che l’ideologia delle BR sia come quella dei cristiani che facevano le crociate. In nome di cosa morire? Per Moretti, le BR non temono la morte, ognuno alla fine deve morire, ma non tutte le morti hanno lo stesso significato. Davanti alla televisione intanto, Chiara e Maccari discutono: il ragazzo desidera incontrare la sua fidanzata, ma Chiara gli risponde che loro sono soldati, che bisogna avere uno spirito rivoluzionario entusiasta. Poi, sia alza, va a vedere Moro e Moretti nella stanza, perché ha bisogno di credere che il Presidente sia lì, per essere sicura che non sia tutto un sogno.

Il terrorismo è visto come una religione politica, che non accetta il confronto e che si nutre della sua esclusività.

Marco Bellocchio: come ne L’ora di religione, anche qui cerco di mostrare un paradosso e un’assurdità di cui sono convinto: il marxismo scientifico, totalmente ateo nella sua lotta contro “l’oppio dei popoli”, ha una dimensione di cecità e di profonda inaffettività che ricorda molto da vicino la religione. Moro in questo era più laico delle BR, perché cercava di salvare la propria vita; mentre questa fatalità, il “tutti dobbiamo morire, ma non tutte le morti hanno lo stesso significato”, una frase di Mao, è teoricamente sostenibile ma nei fatti è cieca e perciò religiosa.
La figura della donna, Chiara, che spia Moro e Moretti nel loro colloquio e che si ritrae quando i due parlano di politica, religione e morte, è un’immagine fondante del cinema di Bellocchio. Lo sguardo del femminile da la possibilità al film di farsi compenetrare da tante realtà, storiche e psichiche. Chiara possiede e crea un mondo suo che si intreccia con la realtà dei fatti.

Marco Bellocchio: in realtà la figura di Chiara è stata una casualità, nel senso che il testo su cui ci siamo basati era della Braghetti. L’immagine di Chiara che si ritrae dallo spioncino sta a raccontare il suo cedimento, svenimento, come se quelle parole la incenerissero e lei dal fuoco passasse allo sfuocato. Lei possiede in sé un certo movimento datole dalla ribellione, dall’insofferenza alla storia, come anche Maccari (Piergiorgio Bellocchio); che però, alla fine, accetta la disciplina.

PROIEZIONE 3: il discusso finale, dove Moro cammina libero nella casa, i brigatisti addormentati dal sonnifero di Chiara, il suo passeggio libero per la strada deserta.

Marco Bellocchio: questa libertà che abbiamo concesso a Moro era inevitabile, perché ora sappiamo che la separazione e la libertà non può più passare dall’assassinio del padre. In questo volevo creare un movimento e un rapporto con L’ora di religione, dove un figlio si separa dalla madre negli intenti e nelle scelte, non più con un atto criminale. In questo sesno, la figura di LoCascio mi è molto distante biograficamente, ho avuto una più stretta relazione con il protagonista di Castellitto. Anzi, credo che Buongiorno, notte sia interessante proprio perché ho raccontato me stesso senza identificazioni.

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