Intervista a Maria Florencia Alvarez
Innanzitutto complimenti per i tre premi che hai ricevuto! Che tipo di esperienza è stata per te quella del Milano Film Festival?
La mia esperienza a Milano è stata meravigliosa. Non mi sarei mai aspettata di vivere una settimana del genere nella mia vita. Andare in Italia per la prima volta, essendo invitata, per assistere alla proiezione del mio cortometraggio. Già come inizio era molto allettante. Poi, una volta arrivata, la sala di proiezione mi ha impressionato molto. E lo stesso ha fatto il castello che fungeva da sede. Credo fosse la seconda volta che vedevo un castello in vita mia. Per me i castelli sono una cosa da romanzo, ed è stato grandioso che il festival sia stato organizzato lì.
Sempre parlando degli spazi devo dire che quello che mi sono goduta di più è stato l’alloggio. L’Ostello Olinda, l’ex-ospedale psichiatrico. In un certo senso mi sentivo a casa. Tornare la sera e conversare con gli altri registi in cucina. Svegliarsi e sorseggiare un caffè fatto da una delle gentilissime persone che lavoravano lì. Sicuramente la fatica più grande era alzarsi per uscire all’ora della sveglia. Mi sono sentita molto a mio agio ed è un posto dove mi sarei fermata volentieri qualche giorno in più e dove forse un giorno tornerò.
Per quanto riguarda l’organizzazione del festival, ho apprezzato molto tutta la gente che ci lavorava. Il direttore del festival, Beniamino, è una persona molto allegra, che ispira confidenza. Lui non parlava spagnolo e io non parlo italiano, e ancora mi chiedo come abbiamo fatto a capirci, probabilmente per la sua grande disponibilità. Ho trovato molto interessante l’organizzazione compiuta attraverso i volontari. Lo staff è stato meraviglioso. Sapevano tutto di ogni film in concorso e questo creava una grande vicinanza con noi registi. Era come se ti conoscessero prima di conoscerti. Aver ottenuto il premio che assegnavano loro è stato come vincere il premio del popolo, il premio degli operai… Mi inorgoglisce molto, davvero.
Sul palco del Teatro Strehler hai detto che girare Sobre la tierra è stata un’esperienza avventurosa: ci puoi parlare della situazione produttiva e di come sei riuscita a realizzare il tuo cortometraggio?
Sobre la tierra è stato prima di tutto un racconto che è nato da un corso di scrittura a cui ho partecipato sotto la guida dello scrittore Alberto Laiseca. Lui ci diede come tema una borsa magica e il racconto nacque così. Rileggendolo mi accorsi che era un racconto molto cinematografico e facile da realizzare. Facile a livello economico, però implicava molte altre cosche forse non erano altrettanto semplici, come lavorare con dei bambini nel deserto. Comunque ero sicura che ce la potessimo fare.
La realizzazione del film è stata molto lenta. Io convertì il soggetto in sceneggiatura il mese successivo (in realtà il copione è identico al racconto); ma non sapevo ancora quale potesse essere il luogo giusto per le riprese. Sapevo che doveva essere un deserto, ma non sapevo quale. Feci un primo viaggio per la provincia di Buenos Aires. Trovai gli attori e la location, ma in qualche modo non ero completamente soddisfatta. I bambini erano più di città che di campagna, la location era più campagna che deserto. Fortunatamente, quando andammo a fare le prime prove sul posto uno dei bambini si pentì di essere venuto e voleva tornare a casa a giocare con la Play Station. Lui piangeva e io gli dissi di non preoccuparsi perché se non voleva non era obbligato a restare. Gli dissi che poteva tornare a casa. Però era il23 dicembre e tutta l’equipe doveva tornare per Natale. Si trattava di fare il film subito o aspettare l’anno successivo. E così fu. Io andai in vacanza nella provincia di Jujuy, nel nord dell’Argentina, sul confine con la Bolivia, e trovai il deserto che mi ero immaginata. Ero sola e passeggiai molto per quelle terre. Era il posto giusto, non avevo dubbi!
Nove mesi dopo tornammo per studiare la location e trovare gli attori
Nonostante avessimo preparato le cartelle di produzione non trovammo appioppi a Buenos Aires. Mandammo delle lettere al paese che avevamo scelto e ci alloggiarono nell’ospedale permettendoci di pranzare nella mensa della scuola. Ma questo meriterebbe un altro film, che purtroppo non ho ancora potuto girare…
Così ci trovammo a dover fare tutto in una settimana. Eravamo tre donne, lavorammo davvero molto. Tutto il giorno, tutti i giorni, sotto un sole affilato. Visitammo le location a piedi e facemmo il casting nelle scuole. La cosa più difficile fu trovare l’anziana per il film. E’ difficile che una persona di una certa età si interessi ad un progetto simile. Dicevano che non avevano tempo da perdere e noi non avevamo soldi per pagarli, avevamo solo le cose che avevamo comprato nella capitale. Neanche io sono stata pagata per questa produzione.
Alla fine abbiamo trovato una signora eccezionale che non ci fu neanche bisogno di convincere. Vende latte di asina nel paese per i disturbi polmonari. Così ce la siamo cavata in una settimana. Con due giorni e mezzo di prove.
Quello che mi ha incantato di Sobre la tierra è che racconta una storia molto semplice ma con un significato universale, che può essere interpretato in molti modi. Come è nata l’ispirazione?
Domanda difficile…non so. Io lavoro per intuizione. Non è che penso a quello che ho dentro e poi lo scrivo. Non dico: “ora scriverò su questo tema”. Non è nato da nessuna immagine particolare. Parla del mio rapporto col distacco, del fatto che ci penso spesso e che tendo ad aggrapparmi alle idee, alle cose, alle persone e faccio fatica a lasciarle. A volte è difficile dimenticare, cambiare punto di vista, cambiare nel corso della propria vita. Immagino che da bambina fossi ancora più legata a questo tipo di approccio alla vita. Più libera, più spoglia, più sincera. Forse lottavo di più per quello in cui credevo e dimenticavo più facilmente i problemi. Potevo vivere giorno per giorno. Non so se ero veramente così, ma è un’immagine che conservo e che mi aiuta. Forse il racconto è ispirato all’immagine dei bambini nella precarietà e delle responsabilità di cui si fanno carico. O forse parla del riflesso che questa situazione ha in me.
Nella pellicola c’è un dialogo, quello nel quale i bambini raccontano cosa c’è nella borsa, che mi ha ricordato stilisticamente il “realismo magico” che è tipico di molti scrittori sudamericani (Marquez, la Allende). Come autrice ti senti vicina a questa corrente letteraria?
Un po’. Può essere. Sono molto giovane e mi è difficile parlare di stile. Però mi piacciono i nuovi mondi. I mondi interiori, quelli che si possono creare. Adesso è molto che non scrivo, non so. Però credo sia una osservazione giusta.
Come è stato dirigere due bambini?
Meraviglioso. Anche il mio prossimo corto è recitato dai bambini, ed è un’esperienza che non smette di spaventarmi. Forse non è più difficile che lavorare con gli adulti, dipende molto da chi li dirige. Bisogna sempre raggiungere un alto grado di confidenza, e non è detto che con i bambini risulti più difficile. E’ molto difficile non farli annoiare, dargli gli stimoli giusti affinché ritornino il giorno seguente. E’ difficile fargli ripetere una scena. Ma credo sia lo stesso anche con gli adulti. Forse gli adulti hanno più volontà, ma meno spontaneità. Con i bambini devi essere rapido…
Per concludere: quali sono i tuoi progetti per il futuro? Cosa ti aspetta dopo il Milano Film Festival?
Ora me ne sto a casa, vivo la vita quotidiana. Lavoro in un ospedale, faccio l’assistente alla scuola di cinema in una materia che mi piace, con un professore molto bravo. Sto terminando un documentario che ho girato con i bambini di Sobre la tierra (sono due fratelli).E’ un ritratto della loro famiglia. Anche questa è stata un’esperienza meravigliosa, spero che prima o poi venga proiettato anche in Italia, l’ho mandato al festival di Firenze “Immagini del popolo”. Speriamo venga selezionato…chi lo sa? Loro lo sanno! Io saprò qualcosa tra gennaio e febbraio. Poi c’è un altro corto, Perro negro (“Cane nero” n.d.r.) . Molto emozionante. L’ho scritto il giorno che mia nonna è morta e anche questo è ambientato fuori città. In campagna questa volta. Ho molte speranze. Molta necessità di portarlo a termine. Mi aspetto che sia un’esperienza nutriente come è stato Sobre la tierra.
A cura di Marco Valsecchi
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