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Chi è Franklyn? Boh

Chi è Franklyn? Boh

Masturbazione mentale per intellettualoidi darkettoni con tendenze suicide: può sembrare un giudizio forte, ma basta vedere il film d’esordio di Gerald McMorrow per capire quanto una simile definizione sia appropriata all’occasione. Franklyn, che dal trailer si annuncia come un fanta-thriller in stile graphic novel con risvolti sociopolitici (alla V per Vendetta, per intenderci), inizia con fatica aprendo finestre su mondi che sono tutti interiori, tutti devastati e molto, troppo dark, tanto che dai primi minuti si capisce che i 98’ di pellicola scorreranno lenti come un fiume in secca.

Colpa di una sceneggiatura eccessivamente complessa, per quanto basata su un’idea affascinante, ma soprattutto di una messinscena che toglie respiro alla storia e affatica lo spettatore con un’estetica sovraccarica e stracolma di dettagli, che sviano l’attenzione dalle motivazioni di fondo della storia. Fino alla fine lo spettatore resta suo malgrado sospeso tra le due città che fanno da sfondo, senza capire davvero quale sia il legame tra le diverse dimensioni e tra le storie dei personaggi, peraltro molto (forse troppo) belli da ‘vedere’: oltre alla solita Eva Green in versione suicida di lusso e a un Ryan Philippe visibilmente ingrassato e forse per questo quasi sempre mascherato, lo stupendo Sam Riley (lo Ian Curtis di Control). Quando alla fine di una notte buia e tempestosa l’arcano si svela in tutto il suo potenziale depressivo, lo spettatore ha già deciso che non valeva la pena di pagare il biglietto. Un’occasione sprecata, il classico esempio di come la dimensione visiva non sia talora al servizio della storia e finisca per andare a discapito dell’intero film, complice probabilmente il narcisismo di un regista più preoccupato di far vedere quanto è bravo che di offrire allo spettatore uno spettacolo cinematografico degno.

Ciò nonostante, il film ha raccolto una piccolissima fetta di appassionati che già ne parlano come di un cult: se alcune qualità della pellicola sono indubbie – la cura formale delle immagini e la perenne sensazione di sospensione onirica dovuta alle atmosfere gotiche e ai rimandi interni, ricercati e claustrofobici – il risultato complessivo è quello di una pellicola poco presuntuosa e poco intelligibile, oltre che praticamente inesistente dal punto di vista emozionale: un pasticcio denso e lugubre, fatto di architetture da brivido, fantasmi personali, traumi infantili e follia più o meno esternata. Ah, in tutto ciò non si capisce perché il titolo del film sia Franklyn, visto che il nome appare solo sul citofono di uno dei personaggi, che però non si chiama così.

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