Sogno di provincia in frantumi
L’ultimo crodino si ispira a un fatto di cronaca realmente successo nel 2001. Due abitanti di Condove, in Val di Susa, stanchi della vita di paese, oberati dai debiti e a corto di soldi, dopo il tentativo fallito di dar vita a un allevamento biologico di polli, decidono di sfidare la sorte trafugando dal cimitero di Meina (Novara) la salma del potente finanziare Enrico Cuccia, morto proprio in quei giorni. L’idea è tanto pericolosa quanto strampalata. I due, Pes (Enzo Iacchetti) e Crodino (Ricky Tognazzi), sono due persone oneste, due abitanti qualunque di un piccolo paese di provincia e, dunque, non dei veri delinquenti. Il loro sarà perciò un tentativo fallimentare, che scatenerà una bufera mediatica e che alla fine, dopo una serie di guai, li farà catturare dai carabinieri.
Commedia singolare dai risvolti noir, il film racconta una storia molto italiana seguendo quasi l’impronta di un poliziesco. In un momento in cui il cinema italiano sembra soffrire sia per mancanza di spunti concreti quanto di storie che valga la pena di raccontare, L’ultimo crodino è una prova coraggiosa. È un’opera che poggia sul rapporto grottesco tra il misterioso rapimento e l’esagerata eco allarmistica che provocò il fatto e che ricorda, in qualche sfumatura, il Monicelli de I soliti ignoti (1958) e il Mazzacurati de Il toro (1994) nei suoi tratti malinconici e picareschi, nel suo omaggio al melodramma di radice italica e nel suo essere, tutto sommato, vera commedia all’italiana. Un po’ commedia all’italiana e un po’ reportage di cronaca, un po’ black comedy e un po’ diario on the road, L’ultimo crodino ci fa sperare in una ripresa del nuovo cinema italiano, anche se la forma stilistica rimane debole e la regia troppo indecisa e comprensiva verso i due protagonisti, mai condannati per il loro gesto. Sono però apprezzabili i movimenti asciutti e silenziosi della macchina da presa, il cui risultato è un film ibrido e difficile da collocare, che strizza l’occhio alla ala televisione e alla commedia grezza degli anni Novanta, con le sue gag “de noantri” e il linguaggio immediato e colorito.
L’ultimo crodino è il ritratto amaro – mai lamentoso – di un’Italia che si illudeva di poter cambiare scrollandosi di dosso vizi e provincialismo e che invece ci rimane intrappolata, incapace di scappare dai soliti luoghi comuni. Molti elementi contribuiscono a rendere l’opera gradevole: l’uso sapiente della fotografia che sottolinea i passaggi più significativi, la realizzazione della lettera in cui Pes e Crodino chiedono il riscatto, che rimanda subito alla strafamosa (e forse un po’ abusata) lettera di Totò, Peppino e… la malafemmina (1956) di Camillo Mastrocinque e l’uso della coppia che qui è a momenti comica e a momenti tragica, in bilico funambolico tra le due realtà principali della vita di tutti noi. Un film leggero, tutto sommato, ma che invita alla riflessione. Risate sì, ma amare, come quando i due protagonisti si sbellicano di risate al pensiero della moglie di Cuccia che si chiama “Idea Socialista” o quando si adoperano goffamente per portare la bara via dal cimitero.
Curiosità
Dopo 4 anni dalla legge Urbani del 2004 è arrivato anche in Italia il Naming Placement, ossia l’inserimento di un marchio nel titolo di un film, stratagemma da tempo usato in America (Colazione da Tiffany, Il diavolo veste Prada). L’agenzia che ha firmato questa operazione è la Top Time di Torino. Curioso anche il fatto che in una battuta Iacchetti dica: «Ma sai cosa costano le Duracell?» facendo il nome di una nota marca di pile. E ancora, a proposito di marche, la moto di Pes è una Morini tre e mezzo, famoso simbolo degli anni Settanta della contestazione.
A cura di Claudia Verardi
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