Comunque amore
Kate Winslet ha nell’immaginario collettivo dei cinefili più o meno accaniti, il volto di una donna che ama disperatamente, che combatte, con una personalità multiforme e preziosamente femminile, di un’attrice che può interpretare qualsiasi ruolo, tranne quello di una donna stupida. Eppure, una sceneggiatura e un personaggio costruiti (forse) per dimostrare e finalmente premiare con un Oscar la sua versatilità, come quello della ex sorvegliante delle SS Hanna Schmitz, non bastano a far decollare un film purtroppo mediocre e non al livello della sua interprete.
Il quindicenne Michael apprende da lei il sesso, la passione, la fuga in una relazione al di sopra delle consuetudine; la donna, analfabeta, sola, maniacalmente dedita al lavoro e alla cura della propria casa, impara a commuoversi durante le letture delle storie più famose della letteratura mondiale, ad opera del ragazzo. Durante un seminario di giurisprudenza, Michael segue un processo a sei ex sergenti delle SS e ritrova Hanna, apprendendo il suo vero passato, proprio in un momento in cui il film avrebbe voluto raccontare la rielaborazione della colpa tedesca verso l’Olocausto. Non ci riesce perché lo fa in maniera abbozzata, sbrigativa, piuttosto manichea. Cosa c’è dietro gli occhi di Hanna, ancora puri e sinceri dopo l’ammissione di aver lasciato che trecento donne ebree morissero in un incendio? Quale messaggio, o segreto, o giustificazione, vuole veicolare un film che racconta di un cuore talmente semplice (in senso flaubertiano) da non comprendere di essere parte di un gigantesco meccanismo di morte? L’amore, ma ancor più il sesso, sono qui descritti come un rituale (forse, su nessuno degli argomenti il film sembra prendere una vera posizione) di oblio e di purificazione, eppure il ragazzo terrà per sempre nascosto il suo segreto, fino alla morte della donna.
Il tentativo era dunque, probabilmente, quello di raccontare come le colpe e le cause del male non stiano sempre da un’unica parte, come si potrebbe immagine in un caso eclatante come quello della Shoah. Ma per sposare certe cause, bisogna argomentare, dettagliatamente e con decisione, le proprie motivazioni, cosa che Stephen Daldry non è riuscito a fare nonostante una Winslet capace di trasformarsi. Non capita di rado che l’Academy assegni un Oscar tardivo, forse per meriti passati conclamati ma ingiustamente trascurati: il destino della Winslet da grande diva e sicura erede di Meryl Streep era chiaro sin dagli esordi con Titanic (id, James Cameron, 1997), e ribadito nei tremori, nei guizzi, nella follia amorosa struggente della sua Clementine in Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Michel Gondry, 2004).
Curiosità
Il film ha ricevuto cinque nomination agli Oscar 2009 tra cui miglior film, miglior regia, miglior fotografia, miglior sceneggiatura non originale, miglior attrice protagonista (vinto da Kate Winslet).
A cura di Daniela Scotto
in sala ::