L’ora della verità
È vero, Milk si specchia un po’ nei connotati del suo omonimo protagonista, l’attivista Harvey Milk assassinato con un proiettile la mattinata del 27 novembre 1978, cioè sembra un film un po’ spaccone e un po’ tenero, molto classico, che alla fine, forse, è costretto dentro certi schemi. Nello specifico Gus Van Sant abbandona le atmosfere pesanti e rarefatte, lascia un attimo da parte il cinema minimalista e le storie di estrema emarginazione e sceglie una chiave più accessibile per essere a sua volta più accessibile (anche se, pure qui, si possono rintracciare i punti chiave del discorso cinematografico di Van Sant come la morte, l’omosessualità, la solitudine…). Niente di male. Anzi, anche se impostata su binari classici, la struttura prevede un inizio e una fine tragici (la morte è annunciata fin dalle prime sequenze dallo stesso Milk che “spiega” allo spettatore/ascoltatore il contenuto e le cause della sua testimonianza/registrazione) e il film è decisamente un carico di passione e affetto, che spingono la visione a un livello mai banale e mai del tutto, o semplicemente soltanto, focalizzato sulla questione politica del movimento omosessuale fortemente voluta da Milk.
Del resto, proprio dalle dichiarazioni dello stesso Van Sant («io ambivo a costruire la parabola esistenziale di un personaggio poliedrico, non solo di un attivista liberal») si evince che le intenzioni non si fermano ad un solo livello. Vanno molto oltre. Si dirigono verso percorsi estremamente significativi e assolutamente sovversivi. Ciò che si rintraccia nelle parole di Harvey Milk è un messaggio di hope and change che proietta l’uomo, ma tutti gli uomini, verso la verità. Non solo. Milk è a tutti gli effetti un’attivista che è omosessuale ma ottiene voti promettendo assistenza agli emarginati, cioè ai poveri, agli anziani, a quelli soli, a quelli discriminati, in altre parole agli ultimi. Si sente un ultimo ma non resta ultimo. Offre una grande lezione di speranza che dovrebbe accendere l’entusiasmo delle giovani generazioni e riaccendere quello spento di chi si sente sconfitto e deluso. Dietro al percorso di Milk, che per molti è stato il simbolo di un male oscuro e immorale, c’è invece una forte moralità, dettata dal desiderio di fare uscire il valore della verità (infatti in uno dei suoi discorsi più significativi, parla alla folla, composta da gay e lesbiche, invitando tutti a uscire allo scoperto e a comunicare la propria, vera, identità) che rappresenta per tutti una scelta determinante, che fa la differenza. Milk chiede la verità e la ottiene. Si fa profeta e viene ascoltato.
Il racconto di Van Sant procede linearmente, ma offre alcune interessanti intrusioni, materiale d’archivio che si sovrappone alla finzione, che spingono maggiormente lo spettatore a confrontarsi con la realtà. Insiste nel ricondurre tutto alla concretezza dei fatti reali, anche se a volte sembra avere le mani legate. Tuttavia Milk è un film fatto di e sulle relazioni costruite da Milk e questo aspetto spinge il progetto dentro una sfera molto più sincera e affidabile di quanto si possa sembrare. Non è solo un biopic come sembra. Sarebbe assurdo, poi, prenderlo da modello per ricamarci sopra polemiche, dibattiti televisivi, abusare cioè di una sincerità di fondo per il gusto di speculare. Senza dimenticare che il buon Harvey (per quello che si vede è buono, intelligente, ambizioso e piuttosto scaltro, ecco spiegato il motivo dell’invidia che ha spinto l’antagonista Dan White ha ucciderlo) ha raggiunto il cuore delle persone che, in vita ma anche dopo la sua morte, lo hanno seguito. La folla si è fidata e ha creduto in lui. E lo spettatore a seguire.
Curiosità
Non molto tempo prima di essere assassinato, parlando della necessità di un movimento per i diritti dei gay in grado di esercitare una pressione sul governo, Harvey Milk diceva: “Io chiedo al movimento di andare avanti, perché la mia elezione ha dato una nuova speranza ai giovani. Dobbiamo dare loro speranza”. Una frase incisa alla base della sua statua – un busto esposto di fronte al Municipio di San Francisco.
A cura di Matteo Mazza
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