L’ospite e l’accoglienza
The Visitor è un film molto interessante. Affettuoso, intelligente e corrosivo nei toni e nei modi; pieno di sorprese, di ritmo e di trovate che non sbilanciano gli equilibri di un film che mescola la commedia al dramma sociale; capace di sciogliere le tensioni e coinvolgere le emozioni, con uno strepitoso attore che è Richard Jenkins (già ottima spalla nel serial Six Feet Under e nel film dei Coen, Burn After Reading) e un’attrice tanto brava quanto affascinante come Hiam Abbass (protagonista pure di Il giardino dei limoni); con un’idea di sceneggiatura non nuova ma scoppiettante che riserva, sequenza dopo sequenza, tesserina dopo tesserina, il disegno di un mosaico ben preciso e tagliente.
The Visitor è il risultato di un intreccio di storie e di mondi, di culture e di musiche, di colori e sapori. Non si limita a raccontare soltanto l’incontro tra il professore universitario e la coppia di stranieri clandestini, non pensa soltanto a tracciare un profilo antirazziale o multietnico sovversivo, va molto oltre perché riesce a comunicare e a trasmettere sincerità. È una storia d’amore in piena regola tra i due immigrati, ma anche tra Jenkis e la Abbass, fatta di dolcezza, sensibilità, simpatia, condivisione. È anche una storia di amicizia, quella vissuta e partecipata, dove la musica e il variopinto universo delle percussioni fanno da tramite. Quanti sono i visitors in questo film? Tanti. Infatti il titolo spinge lo spettatore a confrontarsi con tutta la serie di imprevisti e scelte che caratterizzano la vita dei personaggi. È inattesa, per lo spettatore, la capacità del film di far sorridere e commuovere, la voglia di raggiungere la felicità, la libertà e la conoscenza di sé attraverso un bongo, il battito della mani, il ritmo della vita. Tutti invadono, prima come stranieri, poi come ospiti, la vita dell’altro. Sia che si tratti di una persona, sia che si tratti di uno strumento musicale o di una notizia. È su questo binomio inarrestabile, cioè lo scontro/incontro con l’altro, che si concretizza il disegno di Thomas McCarthy, regista dallo sguardo curioso, al suo secondo lungometraggio, che preferisce soffermarsi sui gusti e i particolari dei suoi personaggi piuttosto che sulle parole che descriverebbero, con minore eleganza, qualche finta sensazione. The Visitor è un film che prende spunto dalla commedia degli equivoci per confrontarsi con l’attualità ben più drammatica di un semplice equivoco. Anche se a volte, proprio l’attualità è specchio del grottesco. Progressivamente e anche abbastanza rapidamente, il film si trasforma in un amaro e implacabile atto d’accusa nei confronti degli Stati Uniti e della pesante aria di intolleranza che si respira negli States. Un racconto che cresce sempre di più, raggiungendo definitivamente la verità.
È un film sulle occasioni della vita, sull’amore ma anche, infine, sull’incomunicabilità, sulla difficoltà di avvicinamento, sui viaggi fisici e mentali, su ciò che, nella vita di ciascuno, è davvero una priorità. Un film carico di valore e di valori, sorprendentemente proiettato verso uno spazio preciso che è quello dell’umanità vera. Sempre più spesso sfrattata e non considerata. Non poco per un film indipendente.
Curiosità
Il regista Thomas McCarthy, classe 1966, ha esordito dietro la macchina da presa con Station Agent del 2003, curioso film che racconta l’amicizia e l’emarginazione dal punto di vista di alcuni personaggi estremi e soli. Oltre al fatto che ha vinto molti premi nei più importanti festival cinematografici, compresi San Sebastian, Stoccolma, Città del Messico e Aspen, il film è da recuperare.
A cura di Matteo Mazza
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