La fortuna bacia i felici
Sulla carta, in teoria, il film di Mike Leigh possiede diversi aspetti interessanti. È un film che mescola serio e semiserio, è piuttosto aderente alla realtà, pur trattandosi di una realtà bizzarra e a tratti inverosimile, ruota intorno a un personaggio che difficilmente resta inosservato per la sua natura così diversa e sovversiva (lei è una british trasandata e kitch che non ha nulla a che vedere con intellettuali affascinanti o donne mangia uomini). Proprio intorno alla figura della protagonista Poppy, diminutivo di Pauline che significa papavero, si allineano i possibili elementi di discussione.
Poppy è una donna che rompe gli schemi di una società, come succedeva anche nel precedente film del regista, quel Il segreto di Vera Drake (2004) che affrontava con toni cupi e tragici il senso drammatico della vita. Mike Leigh in Happy Go Lucky cambia totalmente registro e cerca di indagare il senso della vita attraverso la felicità, che fin da subito viene raccontata esclusivamente dal punto di vista della protagonista. L’occhio dello spettatore segue un’unica possibile direzione e si scontra/confronta con l’entusiasmo di Poppy che, alla lunga, può sembrare irritante o irresistibile, disarmante o insopportabile. Certamente guardandola non si può rimanere indifferenti. Sembra una molla. E poi sulla carta, in teoria, le cose che si ascoltano lungo il cammino compiuto da Poppy, tra una corsa in bici (che viene rubata) e una lezione di flamenco (con l’abito sbagliato), una sfuriata con l’istruttore di guida e una con la sorella (che le rimproverano di aver scelto la strada sbagliata), suonano bene. Leigh suggerisce a ciascuno di costruire la propria vita su fondamenta felici, guardando ai propri desideri, alle proprie passioni, alla tensione che spinge verso l’alto e verso l’altro. Sembra dire sottovoce di non accontentarsi, di fare puntate importanti. La lezione di Poppy sulla carta, in teoria, è efficace se si pensa pure ai dialoghi originali del film, costruiti tutti su doppi sensi e non sense, pragmatici e tutt’altro che superficiali, usati per stemperare e sdrammatizzare anche quando le situazioni non lo consentirebbero (per la serietà e la serenità, è quasi spiazzante, infatti, il modo con cui Poppy affronta i problemi del bambino della sua classe, le incomprensioni con la sorella, i litigi con l’istruttore di guida). Seguendo i percorsi tracciati dal film si arriva alla conclusione narrativa interpretando il titolo originale Happy Go Lucky. Più che seguire la traduzione italiana, La felicità porta fortuna, è forse più opportuno parlare di “è fortunato chi è felice” o anche di “avrai la fortuna, se sarai felice”. Cioè, in teoria, sulla carta, costruendo una vita basata sulla felicità si avrà una ricompensa. È chiaro che non si può pretendere e che bisogna essere saggi e portare pazienza per vedere maturare i propri sforzi (o vedere nascere ciò che si è seminato).
Ma il punto è che oggi la pazienza, forse, non appartiene a molti e Poppy è un personaggio univoco e raramente si confronta con altre forme di felicità. Quindi potrebbe diventare un personaggio scomodo (cioè che rompe le scatole perché lui/lei che guarda dice: «non ho bisogna che una mi dica come devo essere felice»), oppure semplicemente antipatica. Resta il fatto che Poppy è un personaggio dinamico, in ricerca e in lotta. Che pare non arrendersi mai e questo potrebbe essere di buon auspicio anche per una rilettura del film. È discutibile, ma non è banale. In teoria e in pratica.
Curiosità
Orso d’Argento 2008 per la Migliore attrice (Sally Hawkins) al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, Happy Go Lucky rappresenta la terza collaborazione della Hawkins con Mike Leigh.
A cura di Matteo Mazza
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