La dignità perduta
Ancora una volta il cinema dei Dardenne è pura umanità. Un cinema capace di raccontare la realtà, in grado di mostrare il lato oscuro della vita. Impostato sull’idea del riscatto, sul racconto del male, spesso descritto come viaggio diretto verso il bene, il cinema spiazzante dei Dardenne frantuma l’indifferenza di chi guarda perché entra nel vivo, tocca il sangue, il corpo, l’animo dei suoi protagonisti. Sempre inseguiti, quasi perseguitati dall’immagine, dall’inquadratura, dalla macchina da presa che, nei Dardenne, assume il ruolo dello sguardo della vita, del mondo.
Il matrimonio di Lorna, rispetto alle produzioni precedenti, possiede diversi elementi di continuità stilistica ed espressiva. Innanzitutto la storia. Lorna è la protagonista, albanese, immigrata che per ottenere la cittadinanza belga si è messa nelle mani della malavita. Claudy, Sokol, Fabio, Spirou sono gli uomini che le gravitano attorno, ciascuno con un motivo diverso. Una storia agghiacciante perché senza speranza. Allucinante perché, fino in fondo, vera. Dall’estrema rappresentazione del reale, all’assurda rappresentazione del male, coerentemente i Dardenne scelgono il pedinamento, garante della loro realtà filmica. È magnifico il rapporto che si crea tra spettatore e film: duro, inaspettato, sconvolgente, destabilizzante ma mai meschino. Mai il cinema dei Dardenne mostra qualcosa in più del necessario patire, dell’essenziale commozione, della naturale sensibilità dello sguardo umano. Non c’è sofferenza gratuita nel cinema dei Dardenne e, nello specifico, in un film come questo. A questo proposito, la scena della morte di uno dei personaggi (che qui non vuole essere svelato) raggiunge una tensione emotiva assoluta. Lascia un vuoto pesante da gestire per chiunque. Un film proiettato dentro il Male, dentro l’amore, la rabbia, l’agonia della dipendenza da qualcosa o da qualcuno. Un fiume nero carico di sporcizia umana.
Un film che dimostra un leggero aggiornamento del percorso autoriale dei Dardenne che qui danno maggiore spazio alla parola e alla complessità della vicenda. Un film che s’interroga sulle responsabilità nei confronti della clandestinità e dell’immigrazione. Una storia che porta al cinema il dolore di chi partecipa, come Lorna, alla disgregazione della felicità, al crollo delle ambizioni, alla fine della speranza. Da questo punto di vista gli occhi di Lorna sono rivelatori e indicano le direzioni del film dei Dardenne. Nel rapporto con Claudy lo sguardo è di commiserazione, pietà, finzione; nel rapporto con Fabio si tratta di uno sguardo abbassato, complice, vittima e carnefice; nel rapporto con Sokol, uno sguardo ambizioso, schietto, coraggioso e lanciato; con Spirou, infine, disincantato. Quattro sguardi cancellati da una narrazione che progressivamente sottrae Lorna ai quattro uomini, lasciandola inevitabilmente sola.
Ma i Dardenne ricostituiscono dignità allo sguardo di chi soffre (Lorna e lo spettatore), costruendo un film robusto, potente, importante. Che fa male, senza ingannare.
Curiosità
Sulle modalità di avvicinamento a questo film, i fratelli Dardenne hanno dichiarato: «Nel 2003 abbiamo incontrato un’educatrice di strada. Ci ha raccontato un episodio della sua vita personale. Suo fratello era un tossicomane. L’ambiente della malavita albanese l’aveva contattato per un matrimonio bianco. Si trattava di sposare una prostituta straniera in cambio di 10.000 euro. La sorella aveva sentito parlare di tossicomani, trovati morti per overdose, dopo quello che aveva l’aria di essere un matrimonio bianco e ha messo in guardia il fratello del pericolo. Abbiamo conservato questa storia per noi. Solo dopo le riprese de Il figlio ci abbiamo ripensato». L’attore Jeremie Renier è al terzo film con i Dardenne. Aveva già recitato in Il figlio e in La promesse. Il matrimonio di Lorna si è aggiudicato il premio per la miglior sceneggiatura al festival di Cannes 2008.
A cura di Matteo Mazza
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