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cultura dell'immagine e della parola

Parla con lui

Almodòvar giunge in Italia, per l’esattezza a Roma, dove, facendo traspirare di fronte ai giornalisti la sua spiazzante ma coinvolgente personalità, rilascia (a modo tutto suo) quello che si è soliti definire delle “interviste”, ma che nel suo specifico caso hanno sembianze di proteiformi e interessanti verità d’autore, che tendono ad andare oltre la domanda specifica a cui rispondono.
Prima dell’ effettiva presentazione del suo nuovo film “Parla con lei”, Almodovar ci tiene a sottolineare energicamente che: “Dopo il folle caos di Los Angeles, l’ esperienza dell’ Oscar e dell’ America, il mio unico e grande desiderio era tornare a Madrid, alle mie cose e ridimensionarmi”.
Quando i giornalisti sono pronti per iniziare a segnare chi con penna, chi con altro, ciò che viene detto, il regista spagnolo decide che prima di “hablare” del film in sè, debba avvenire la presentazione dei suoi collaboratori, nello specifico gli attori, che costituiscono la vita del film stesso. Così inizia: “Rosario Flores interpreta Lydia nei panni di un torero più che di una torera (!); Marco Grandinetti, Dario nel film, arriva da Rio e il suo ruolo è quello di piagnona che gli calza alla perfezione. Segue Eleonor Watling, nel film Alicia, che ha una bellissima pelle in grado di assorbire tutta la luce oscurando gli altri e, non ultimo, Javier Camara, ossia Benigno, che in questi giorni ha accettato la proposta di fare un film pornografico in Spagna”.
Quando inizia l’ intervista vera e propria, l’ interesse è primariamente concentrato sul motivo che ha spinto Almodovar a spostare il baricentro del suo nuovo film su protagonisti maschili, dopo numerose pellicole dedicate spassionatamente alla dimensione femminile. La risposta del regista è chiara e immediata: “Quando scelgo di raccontare qualcosa, lo faccio seguendo l’ istinto e l’ intuizione, facendo degli schizzi di quello che sono idee improvvise che, accumulandosi, costituiscono una storia. In questo film volevo dipingere la storia dell’ amicizia fra due uomini fragili, soli, ma soprattutto attuali. E’ più facile vederlo un film del genere che raccontarlo, come tutte le rappresentazioni cariche di emotività”.
Alla seconda domanda, che gli chiede come è stato il lavoro con gli attori, la sua risposta fa fatica a contenere l’ entusiasmo: “La presenza di questi quattro attori è stata indispensabile alla struttura stessa del film e al suo successo che sta seguendo. Il loro costante impegno, la loro assidua preparazione nei mesi precedenti la realizzazione della pellicola sono alla base di tutto: Rosario ha fatto quattro mesi di scuola di tauromachia ed è diventata bravissima, a tal punto da ricevere proposte in quell’ ambito o Eleonor che ha ripreso lezioni di danza e seguito con Rosario un corso di yoga che permettesse loro di conseguire l’ estrema rilassatezza muscolare tipica di uno stato comatoso. Io volevo che riuscissero, per quanto è possibile, a comunicare all’ esterno, allo spettatore, quello strano stadio psico-fisico che è il coma”.
La terza domanda però, i giornalisti la rivolgono agli attori, chiedendo come sia stato qualitativamente lavorare con un regista e un uomo come Pedro Almodòvar. La prima voce ad esprimersi è quella di Javier Camara: “Inizialmente sentivo quasi un’ansia da prestazione nei confronti di quello che in Spagna è ritenuto il più grande regista… poi a contatto con lui ho compreso che la sua esigenza lascia posto anche alla libertà… o come dice Pedro: ‘libertà vigilata’!”. Si inserisce nel discorso Eleonor Watling che dice: “Il ruolo di Alicia che ho interpretato mi ha dato la straordinaria occasione di ascoltare nei minimi particolari quello che durante le riprese Pedro diceva ad ogni attore, poichè ero ad occhi chiusi e catturavo con più facilità i suoni e le parole”. Anche Dario Grandinetti interviene: “Voglio ringraziare Pedro per la grande contagiosità del suo modo di fare che mi ha colmato di energia dal primo momento delle riprese!”. Rosario Flores è l’ultima voce: “Avendo fatto cinema solo da piccola ed essendo attualmente una cantante, la mia paura era esponenziale e legata ad un forte senso di responsabilità. Sono riconoscente nei confronti di Pedro perchè mi ha dato fiducia, facendomi interpretare un ruolo così ricco di passione!”.
La domanda che sembra infervorare maggiormente i giornalisti sul film di Almodòvar riguarda il motivo scatenante che ha portato il regista ad inserire nella pellicola un piccolo film muto, spezzando la regolarità narrativa del suo lavoro. Così Pedro risponde: “Parlate di ‘Amante menguante’ (amante ristretto, piccolo)?!! E’ stata una scelta molto rischiosa, ne sono consapevole, per due principali motivi: il primo è che, essendo frutto della mia fantasia, rischiava di essere disorientante e il secondo è che, essendo una sequenza di sette minuti colma di significati, lo spettatore poteva distrarsi dal reale tema toccato dal film. La mia maggior paura era legata al fatto di non poter rivedere, per motivi tecnici, il girato e questo mi ha fatto vivere fino alla conclusione del lavoro momenti di profonda insicurezza”.[img4]
Proprio nel momento di più calda e disponibile apertura informale da parte dell’ esuberante Pedro, i giornalisti arrivano ad un’ ultima domanda conclusiva, che si incentra sulla valenza che all’ interno del film riveste il ruolo difficile da interpretare di Benigno…
La parola passa nuovamente ad Almodòvar: “Non sono solito giudicare moralmente i miei personaggi e vorrei che nessuno, dal critico cinematografico allo spettatore, lo facesse. Se fossi psichiatra, potrei accostare alla figura di Benigno la parola psicopatico, ma il mio ruolo è quello di sceneggiatore, interessato unicamente ai suoi sentimenti, pensieri, al di là di ogni giudizio. Io tratteggio, con Benigno, una vita che scorre in parallelo alla realtà, che le si avvicina ma non ne condivide i punti fermi collettivi. C’ è chi la potrebbe definire pazzia, ma io ometto di farlo”.

22 marzo 2002. Kataweb, Chiara Ugolini
www.cinema.it

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