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Come pietre che rotolano

Come pietre che rotolano

Mentre i fratelli Coen sono al cinema con un capolavoro che fin dal titolo allude a come l’America non sia un paese per vecchi, Martin Scorsese filma un concerto dei Rolling Stones e dimostra che il futuro è ancora in mano agli over sessanta. I Rolling Stones hanno qualcosa di divino che scorre nelle vene. C’erano, ci sono, ci saranno. Incantano sul palco con un carattere che è sconosciuto alle nuove leve. Sarebbe troppo facile iniziare a elogiare la verve e il carisma di Mick Jagger che corre, salta e, soprattutto, canta per quasi due ore senza perdere un colpo. Si potrebbe sottolineare come Keith Richards e soci non abbiano necessità di mascherare la loro vera età con ceroni e lifting, dando vita a un vero e proprio elogio della ruga. In realtà quello che è necessario sottolineare fin da principio è che questo non è un semplice film-concerto con i Rolling Stones nel ruolo di protagonisti, si tratta infatti del film concerto di Martin Scorsese.

Il film inizia con una fugace inquadratura in cui si intravede quello che sarà il mattatore della serata. Mick Jagger entra ed esce per una frazione di secondo all’interno dello sguardo della macchina da presa. Scorsese, da ottima prima donna, riserva per sé la prima inquadratura, nonché l’ultima prima che un dolly vertiginoso porti lo spettatore fuori dal Bacon Teather su, in alto fino alle stelle. Un movimento di macchina virtuale e fortemente metaforico in cui gli astri della musica, del cinema e della volta celeste vengono a confluire in un unico sguardo. Il viso canuto di Scorsese, riquadrato dalla nera montatura di occhiali di alleniana ispirazione, segna quindi l’inizio e la fine di un concerto che lui stesso renderà memorabile, se non eterno, ancor più dell’esibizione stessa degli Stones. Decide le inquadrature, ragiona sulle luci, sceglie la posizione delle camere, approntando quella cifra stilistica che si richiede a un autore del suo calibro. I musicisti sul palco sono strepitosi, duettano con con giovani star come Christina Aguilera o Jack White degli White Stripes, ma gli applausi a scena aperta sono per il pezzo suonato con Buddy Guy, bluesman classe 1936, giusto a confermare che l’età e l’esperienza hanno una loro ragione d’essere.

Il concerto infiamma il pubblico in sala, meno quello presente sul set che pare realmente fasullo (degno di una puntata di Top of the Pops), ma si tratta di un neo trascurabile. Mick Jagger è trascinante, Keith Richards si diverte come un quindicenne e prova (ahinoi) anche a cantare due brani, Charlie Watts dimostra che uno Stones può essere anche timido e introverso. Fuoco e fiamme sul palco, un’esibizione potente intervallata da puntuali inserti di repertorio con i giovanissimi Stones che sognano il futuro e profetizzano che a sessant’anni saranno ancora sul palco. Non siamo dalle parti di Ziggy Stardust and the Spider from Mars di (id., D.A. Pennbaker, 1973), ma poco ci manca, forse il motivo è nel pubblico MTVgeneration assuefatto da migliaia di concerti proposti in dvd, che difficilmente è in grado di riconoscere quando una mano autoriale diriga il concerto.

Curiosità
Il senso del film può essere riassunto in una frase pronunciata da Keith Richards: «Sia io che Ronnie Wood siamo chitarristi mediocri. Insieme però siamo meglio di dieci». Quando si dice che il risultato è maggiore della somma dei singoli elementi!

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